L’ultimo lavoro di Daniel Goleman, Intelligenza ecologica, completa la “trilogia” che inizia con Intelligenza emotiva e continua con Intelligenza sociale, e si inserisce in un dibattito ampio, in corso ormai da qualche tempo, assumendo una peculiare prospettiva. Imposta cioè il problema della tutela dell’ecosistema, e dell’uomo al suo interno, in termini di scatto evolutivo: lo sviluppo di un’intelligenza ecologica consentirebbe di sopperire a un deficit evolutivo che non ci segnala come pericolosi gli atteggiamenti non in linea con la tutela dell’ambiente.
Come recuperare questo gap? Attraverso uno sforzo di carattere motivazionale, integrando a livello conscio ciò che non è patrimonio del nostro codice di sopravvivenza. È interessante notare che l’intelligenza ecologica ha qui un carattere intrinsecamente sociale: è in gioco una intelligenza collettiva capace di mettere a valore i risultati dei diversi sottoinsiemi di competenze in un quadro di socializzazione democratica delle informazioni. Anche in questo nuovo studio Goleman attribuisce a una disciplina emergente il compito di determinare un passo avanti nel processo di acquisizione di nuove conoscenze: se in Intelligenza sociale, il suo volume del 2007, ci parlava della neuroeconomia, ora si tratta dell’ecologia industriale. I pionieri di una nuova consapevolezza – da ampliare il più possibile – sono quanti lavorano all’avanguardia nei settori che si occupano della produzione e della salute ambientale. L’attuale progresso scientifico e tecnologico è dunque la base per potere sviluppare a uno stadio avanzato la capacità di sopravvivere, recuperando in una dimensione sociale e tecnologica ciò che vi era di positivo nel rapporto con la natura proprio di comunità che vivevano, o vivono tuttora, entro un’economia di sussistenza.
È così istituito, forse fin troppo deterministicamente, un legame tra conoscenza e mutamento di indirizzo di scelte collettive. L’ostacolo che si oppone a che la società nel suo complesso si ponga, e risolva, il problema della salvaguardia dell’ambiente è duplice: la scarsità di informazioni a disposizione della collettività e la tendenza, al confine tra il biologico e il sociale, a reiterare comportamenti acquisiti e a utilizzare le tecnologie desuete che un mondo industriale poco consapevole degli equilibri delicati dell’ecosistema ci ha consegnato.
Goleman pone così l’accento sulla enorme quantità di informazioni a cui non abbiamo accesso nelle nostre attività quotidiane, informazioni sulle tecnologie innovative, sulla composizione degli alimenti, sulle sostanze presenti negli oggetti più vari di cui in genere facciamo uso – risultanti da tutti quei saperi che vanno incontro a una sempre più marcata specializzazione (sottoinsiemi di competenze). Egli imposta chiaramente il rapporto tra trasparenza delle informazioni e mercato, e più precisamente tra trasparenza del mercato e innovazione tecnologica; sostiene la possibilità che si inneschi un circuito virtuoso e che alla base della concorrenza e dell’innovazione tecnologica vi sia non solo il profitto ma una consapevolezza collettiva capace di orientare le scelte produttive del mercato. Divenuto trasparente, il libero mercato di smithiana memoria promette, in tempi di paventate catastrofi ecologiche, di salvare la specie umana e il suo ecosistema, il pianeta. Nel migliore dei mondi possibili per Goleman la razionalità strumentale implementata rispetto al “modello beta” in circolazione dall’epoca dell’industrializzazione saprà comprendere l’istanza etica che costituisce una fase di transizione qualificata verso un livello superiore di razionalità. Il potere passa in mano al popolo dei consumatori non appena, in conseguenza della trasparenza delle informazioni, e di un piccolo sforzo per superare l’attitudine a rifugiarci nei comportamenti noti, possiamo scegliere, e così orientare consapevolmente gli acquisti ai nostri valori di riferimento, determinando che ai fini della concorrenza tra le aziende divenga decisivo un elemento finalmente qualitativo, dietro il quale vi è la scelta di una tecnologia più verde, piuttosto che la promozione del commercio equo solidale.
Entro un discorso che non può definirsi critico in senso forte, Goleman restituisce però un quadro ricco e complesso. È attento agli sviluppi attuali del marketing verde e riconosce i limiti di una impostazione commerciale che non è all’altezza del problema quando, piuttosto che orientare la propria produzione e i propri scambi alla salvaguardia dell’ambiente gioca la “carta verde” come richiamo, un assai parziale maquillage ecocompatibile – il greenwashing – che non tiene conto del sistema entro cui si inscrive una scelta realmente compatibile con l’ambiente, fatta in una società complessa e in una economia globalizzata. È altresì attento a sottolineare la necessità di impostare in termini più ampi il problema della promozione di un’intelligenza ecologica collettiva, che significa tenere conto di una varietà di elementi e relazioni organizzati nelle tre sfere della geosfera, della biosfera e della sociosfera. Evidentemente la valutazione dell’impatto del nostro comportamento, della produzione e dell’utilizzo di determinati prodotti, deve essere messa in relazione con l’insieme delle dimensioni in cui l’uomo è variamente inserito: una complessità di cui fanno parte il clima, la vita vegetale, animale e umana dal punto di vista biologico, nonché le condizioni di vita dell’uomo con particolare riferimento alle condizioni dei lavoratori. Si tratta di un compito collettivo: i soggetti principali alla cui responsabilità, in prima istanza, Goleman fa appello sono i produttori e i consumatori.
Sullo sfondo della necessità della salvaguardia dell’ecosistema così come è impostata da Goleman vi sono teorie che hanno messo in campo ragionamenti che tengono insieme l’etica, la preoccupazione per il futuro dell’uomo e l’economia; tra queste egli sembra maggiormente debitore nei confronti di Jonas e Rawls. È possibile così rintracciare nelle argomentazioni di Goleman l’eco di un discorso teorico che mette in causa il principio di responsabilità: la stessa biosfera che appare seriamente minacciata dalle attuali tecnologie impone una riflessione etica, rivolta al futuro. Certo, il potenziale critico della riflessione jonasiana è sostanziato da una maggiore preoccupazione per il diritto alla vita dell’uomo del futuro – vi è cioè nell’impianto jonasiano una proposta che orienta l’istanza di conservazione dell’integrità dell’uomo al di là di un rapporto puramente utilitaristico con la natura e la inscrive così in una dimensione specificamente ontologica. Diverse anche le conseguenze. Per Jonas, il successo economico e biologico ha messo in pericolo l’uomo e il suo ecosistema, di qui l’esigenza di anteporre il bene al giusto. In Goleman, la polemica accennata proprio nei confronti di quel filone del pensiero ecologico orientato alla minimizzazione della produzione e del consumo, e una maggiore fiducia in una tecnologia più informata e nelle prospettive della ecologia industriale, se pure non descrivono una illusione tecnoscientifica, testimoniano un più deciso ottimismo riguardo la possibilità di garantire la sopravvivenza dell’uomo e dell’ecosistema modificando solo in parte alcuni elementi del libero mercato e non rinunciando ai livelli di benessere raggiunto. È il concetto di progresso che lì è posto in discussione, qui no.
Sono invece le riflessioni di Rawls che riecheggiano quando Goleman ci segnala la forte relazione che si instaura tra economia ed etica: fa difatti ampiamente riferimento all’importanza delle spinte motivazionali quali fattori in grado di orientare il mercato ed eleva le scelte valoriali a potenze economiche. Il tema stesso della democrazia economica è declinato da Goleman a partire dalla necessità della trasparenza del mercato: la trasparenza radicale diviene un prerequisito che determina la possibilità che le scelte compiute dai consumatori, ma anche quelle dei produttori, possano essere guidate dai propri valori di riferimento. In questo senso è importante il riferimento al commercio equo e solidale e alla responsabilità sociale d’impresa. La teoria rawlsiana della giustizia è presente proprio a partire dal nucleo chiaramente liberale dell’argomentazione di Goleman: la libertà è eminentemente libertà di scelta, fondamentale: la scelta dei valori è assolutamente discrezionale, non è possibile in tal senso una riduzione razionale.
Ma come comporre dunque i valori di gruppi differenti, lavoratori e imprenditori, produttori e consumatori secondo i vincoli solidaristici di comunità, paesi poveri e paesi ricchi? Le preoccupazioni derivanti dalla conoscenza diffusa della presenza di sostanze tossiche nei prodotti commercializzati in una parte del mondo, e la sensibilità per le cattive condizioni di vita dei lavoratori di una azienda – orientamento al benessere o alla solidarietà – rimangono elementi eterogenei. E ciò sebbene entrambi gli orientamenti possano alimentare pressioni – egualmente contraddittorie – sul mercato.
L’ottimismo che Goleman mostra nel valorizzare la molteplicità dei valori di riferimento ha un’eco smithiana: l’amore di sé, il perseguimento del proprio interesse che nel discorso di Goleman è al fondo l’interesse alla sopravvivenza della specie e del suo habitat non è disgiunto dal profitto: Avere successo facendo il bene, è, non a caso,il titolo del capitolo conclusivo del libro.
L’intelligenza ecologica si qualifica allora come una forma superiore, progressiva, di evoluzione dell’uomo su base collettiva; una forma maggiormente consapevole di appropriazione della natura, che contempla lo scopo razionale di non distruggere la specie umana e l’ecosistema dell’uomo stesso. In questa costellazione lo slancio pionieristico delle aziende che sistemicamente stanno già oggi orientando in questo senso la propria produzione costituisce una scommessa sullo sviluppo dell’intelligenza collettiva – una scelta che a suo tempo verrà premiata dalla logica virtuosa della domanda e dell’offerta anche nei termini della realizzazione dei profitti maggiori.
Come spesso succede è stimolante interrogare un testo rispetto ai suoi silenzi e a quelle connessioni che non vengono istituite, pur nel pieno rispetto dell’impostazione legittima dell’autore che si presenta qui volutamente deideologizzata: e allora proprio a partire dal quadro offerto ci sembra ineludibile la domanda, tenuto conto del posto centrale che lo stesso Goleman attribuisce allo sviluppo di saperi complessivamente compatibili con l’ambiente, sulla possibilità della ricerca, soprattutto quella che non è immediatamente spendibile sul mercato e che quindi spesso non c’è perché non è finanziata – sulla libertà della ricerca e sul condizionamento che l’economia esercita su di essa a partire dalle priorità e dagli indirizzi che alla ricerca vengono assegnati, al loro carattere eteronomo.
Cristiana Boscarelli
S&F_n. 2_2009