Fisica e filosofia racconta il connubio tra due discipline solo apparentemente lontane. Heisenberg ricapitola i temi della fisica moderna, confrontandoli con le grandi intuizioni della filosofia, dai Presocratici a Cartesio e Kant, allo scopo di illustrare la teoria dei quanta ai non addetti ai lavori. Il difficile compito del fisico Premio Nobel consiste nel raccontare la vera e propria rivoluzione epistemologica avviata dalla teoria dei quanta, che da un lato ridisegna i confini di applicabilità delle metodologie e della considerazione generale della Natura proprie della fisica classica, e dall’altro interagisce con il pensiero filosofico, servendosene talvolta addirittura per risolvere la complessa questione di definire, misurare e scrivere leggi fisiche sulle particelle elementari. Tra fisici teorici e sperimentali, l’arduo compito di descrivere e sperimentare su particelle più piccole dell’atomo stesso dà inizio a un avvincente dibattito, non scevro da una rilevanza filosofica in grado di rimodellare l’intera visione del mondo del procedere scientifico, e apre una nuova stagione per la fisica. L’esito di questo interessante dialogo, interno alla fisica ma intriso di filosofia, con tutte le sue destabilizzanti conclusioni, fa sconfinare una disciplina nell’altra, e si risolve in un appassionante incontro tra saperi che appare riuscito e solo a prima vista improbabile.
La teoria dei quanta, che inizia a essere formulata agli albori del XX secolo, viene sviluppata in modo collettivo e graduale; i nomi degli scienziati che vi lavorano sono tutti illustri, quando non premiati con un Nobel, basti pensare a Max Plank, Louis de Broglie, Erwin Schrödinger, Niels Bohr o lo stesso Albert Einstein. Il merito di Werner Heisenberg è quello di aver introdotto il cosiddetto principio di indeterminazione, e di aver formulato, assieme al geniale amico Bohr, la celebre interpretazione di Copenhagen. Due veri e propri terremoti per la fisica del tempo, in grado di minare le basi stesse del sapere e della prassi scientifica. L’impatto della scoperta dell’atomo e delle particelle elementari che lo compongono è già di per sé fortissimo; ciò che per molti anni si tenta di fare è misurare, descrivere e, in fin dei conti, cercare di “afferrare” (con le metodologie sperimentali care alla fisica tradizionale) entità che la matematica può tentare di descrivere ma che i sensi non possono, in alcun modo, percepire. La sfida del subatomico, tuttora in corso, scuote profondamente, e per la prima volta, le stabili verità della fisica classica, scomodando lo stesso Newton e la sua rassicurante meccanica dei corpi. Negli stessi decenni Einstein sistematizza la sua teoria della relatività, generale e speciale, riconfigurando completamente le variabili fisse e non problematiche (per la fisica) di spazio e tempo. La fisica di tradizione newtoniana, sicura nel suo apparato di certezze incrollabili e di modelli della Natura saldi e impossibili da intaccare, si sbriciola nel giro di qualche decennio: si capisce dunque che l’espressione “crisi delle scienze fisiche”, spesso usata per riferirsi ai rivolgimenti scientifici della prima metà del Novecento, non venga usata in senso iperbolico.
Il nome di Werner Heisenberg è legato a filo doppio allo studio dell’atomo, e delle sue particelle elementari (come protoni, neutroni ed elettroni). L’atomo ha una storia antica, radicata nel pensiero filosofico, così come la fisica: nel libro, Heisenberg procede a rintracciare i punti rilevanti per la fisica atomica nella storia della filosofia, sottolineando la continuità tra filosofia e scienza lungo il corso dei secoli.
L’atomo viene concettualizzato per la prima volta nel pensiero di Democrito e Leucippo, e descritto come la minima quantità di materia, l’indivisibile. Dotati solo della proprietà dell’essere, gli atomi si muovono nel vuoto secondo una legge di necessità. Le particelle elementari scoperte dalla fisica moderna, che compongono l’atomo nel suo insieme, sono ciò che più si avvicina alla definizione antica di atomo, con le dovute differenze. E, incredibilmente, con Heisenberg e la meccanica quantistica l’atomo e le particelle elementari diventano qualcosa di ancor più “astratto” rispetto alle unità di Democrito e Leucippo.
Con il pensiero di Cartesio, il metodo del dubbio e la celebre formulazione cogito ergo sum danno un fondamento filosofico all’esistenza di Io, Mondo e Dio, concepite come entità separate. Tale separazione allontana definitivamente anche spirito e materia, res cogitans e res extensa. Il modello cartesiano influenza pesantemente la costruzione dei paradigmi newtoniani, che getteranno le basi per la fisica successiva. Secondo Newton, infatti, è assolutamente possibile parlare della realtà esterna senza fare riferimento né all’Io né a entità trascendenti. Quello che Heisenberg chiama realismo metafisico è la più rilevante delle intuizioni cartesiane, e ciò che ha maggiormente influenzato il pensiero scientifico nei secoli: la dimostrazione dell’esistenza di una realtà oggettiva.
Attraverso un’analisi delle posizioni dell’Empirismo, che spostano l’accento dall’esistenza del mondo esterno alla percezione che i nostri sensi hanno di esso, Heisenberg si confronta con Kant, che, a suo avviso, opera una sintesi tra Empirismo e pensiero cartesiano. Considerando spazio e tempo come forme a priori dell’intuizione pura, e conferendo anche alla causalità il carattere dell’a priori, Kant sarebbe già stato smentito dalla fisica moderna. Il concetto di spazio-tempo derivante dalle analisi di Einstein, e la mancata applicabilità del dispositivo causa/effetto nell’ambito della fisica atomica, avrebbero distrutto la filosofia di Kant, invalidandone le basi.
Heisenberg riconosce proprio nell’inferenza di queste istanze, così diffuse nel panorama scientifico occidentale, le difficoltà dei fisici di tradizione classica ad accettare le sue teorie. Ciò dimostra, per il fisico tedesco, quanto scienze e filosofia siano in realtà inestricabili: così come i filosofi greci potevano far derivare dal pensiero filosofico considerazioni di carattere scientifico per analizzare la realtà, anche i fisici moderni propongono, in effetti, una spiegazione della realtà che parte dal dato fisico per arrivare a una costruzione teoretica del mondo, che non è lontana dalla filosofia. Il discorso di Heisenberg mira perciò a difendere le posizioni della meccanica quantistica, cercando, con i termini del linguaggio comune, di renderla comprensibile a tutti; infatti, la teoria dei quanta rivoluziona a tal punto i dogmi della vecchia fisica da sembrare, persino agli occhi dei fisici contemporanei, strampalata e incomprensibile. Per questo, un ritorno alla filosofia garantisce da una parte un allargato orizzonte di comprensibilità delle teorie stesse, e, dall’altra, sancisce anche un ritorno allo spirito più “autentico” del pensiero scientifico, rinsaldando il legame perduto con l’ethos filosofico.
Tutto ha inizio con la scoperta dell’atomo, o meglio, la concettualizzazione, da parte di Max Plank, di “pacchetti di energia”. I modelli della fisica per descrivere questa inafferrabile unità microscopica variano, e vengono proposti e riconsiderati più volte: l’atomo viene interpretato come un sistema corpuscolare (il celebre modello “planetario” postulato da Rutherford) o ondulatorio (Schrödinger e de Broglie); Bohr teorizza poi l’esistenza dei salti quantici degli elettroni. Lo studio degli elettroni e della loro traiettoria intorno al nucleo avvia una nuova stagione per la fisica. L’impossibilità di osservare la realtà subatomica apre un problema epistemologico fondamentale per la fisica moderna, dimostrando, se non altro, l’inadeguatezza dei modelli della meccanica newtoniana nel proporre una descrizione, matematica o ideale, che sia convincente, completa e oggettiva. Sottraendo alla fisica di stampo classico il momento fondamentale dell’osservazione della Natura, in questo caso quella atomica e subatomica, lo stesso concetto di oggettività delle leggi del mondo naturale comincia a sgretolarsi. Ed è proprio grazie a questa presa di coscienza inevitabile, contro la quale i fisici legati alla tradizione positivista recalcitrano, che Heisenberg può prendere le mosse per formulare il suo celebre principio di indeterminazione. Insieme a Bohr, e negli stessi anni, lavorerà alla altrettanto celebre interpretazione di Copenhagen. Le due teorie getteranno le basi della meccanica quantistica, rivoluzionando definitivamente la fisica.
Le relazioni di indeterminazione, pubblicate nel 1927, offrono una possibile descrizione della traiettoria di un elettrone in termini, simboli e concetti cari alla tradizione newtoniana, come posizione, momento o velocità e quantità di moto. L’esito delle relazioni è però totalmente inaspettato: non potendo conoscere, in un dato momento e con assoluta certezza, la posizione o il momento di un elettrone è impossibile calcolare la sua traiettoria. Ciò che è possibile osservare è soltanto la quantità di energia emessa prima e dopo la misurazione. Nell’impossibilità di conoscere cosa accada prima e dopo la misurazione stessa, non possiamo descrivere le particelle subatomiche in maniera oggettiva, dal momento che non sappiamo come si comportino mentre non le stiamo osservando. Per queste ragioni, la traiettoria di un elettrone può solo essere ascritta a un delimitato range di probabilità, e lo scienziato deve abituarsi a ragionare per salti quantici. Heisenberg sottolinea che la meccanica dei corpi (macroscopici) non può aiutarci, e che, anzi, ogni modello ideale dell’atomo basato sul mondo macroscopico dovrebbe essere abbandonato in quanto fuorviante, dal momento che i sensi non potranno mai percepire le particelle elementari. L’interpretazione di Copenhagen, sistematizzata da Bohr e Heisenberg su base sperimentale negli stessi anni, stabilisce che la meccanica quantistica può descrivere i processi atomici solo in termini di funzioni di probabilità. Ma l’approdo sperimentale è ancor più radicale. Dal momento che la natura delle particelle elementari può essere descritta sia come corpuscolare sia come ondulatoria, (et et non aut aut, per quanto sembri paradossale) l’esperimento, o meglio, le strumentazioni coinvolte nell’osservazione (come la lunghezza d’onda del fascio di luce con cui osserviamo, ad esempio) perturbano sempre il comportamento delle particelle osservate, alterando il loro comportamento definitivamente e invalidando il risultato dell’esperimento nel processo stesso di sperimentazione. L’osservazione è perciò sempre un’interferenza, che trasforma la realtà subatomica nell’atto stesso di osservarla.
La rilevanza filosofica delle teorie heisenberghiane, come si può vedere, è enorme. Sottolineare che l’atto stesso di compiere un’osservazione perturbi l’oggetto osservato assesta un colpo mortale alla fisica classica. In effetti, osservare la Natura e scriverne, quasi svelandole, le leggi, e sperimentare al fine di provarne la validità, è il punto di partenza di ogni scienza che si definisca tale. L’oggettività delle leggi fisiche si svuota di senso; la meccanica quantistica spoglia le leggi fisiche dal carattere di esattezza per consegnarle senza se e senza ma al regno della possibilità. A saltare è anche la consolidata fede nel concetto di causalità, in favore di un sistema fisico anti‑deterministico in cui anche il caso gioca la sua parte. «Dio non gioca a dadi» commenterà Einstein, il quale, come Schrödinger, non riuscì mai ad accettare Heisenberg, Bohr e le loro teorie. Il ripensamento dei paradigmi cari alla fisica tradizionale investe il concetto stesso di realtà: in passato gli scienziati potevano essere certi di osservare gli oggetti dati con i propri sensi (anche amplificandoli grazie alla tecnologia), e descriverli senza parlare in alcun modo di sé, ricavandone peraltro conoscenze ritenute assolutamente oggettive e riconoscendo una realtà anch’essa oggettiva, inerte e immutabile, pronta a lasciarsi cogliere dall’uomo; le teorie heisenberghiane mostrano, invece, che l’intero campo del sapere scientifico, con la sua base empirica e sperimentale, se vuole evolversi e “afferrare” il subatomico deve fare affidamento innanzitutto su deduzioni probabilistiche, poiché ha a che fare con oggetti che alterano il loro stato quando osservati e, oltretutto, deve fare i conti con la natura interamente soggettiva delle sue asserzioni. Tenere in conto il ruolo dell’osservatore durante l’osservazione, e spiegare che tale ruolo si traduca in una perturbazione dello stato dell’oggetto osservato, è qualcosa di completamente nuovo nella fisica, e rappresenta una rivoluzione epistemologica anche a un più ampio livello filosofico. Sostenere che non si può conoscere ciò che avviene tra una misurazione e l’altra, ma che se ne possano soltanto scrivere delle funzioni di probabilità altera il concetto stesso di realtà e allo stesso tempo colpisce al cuore il carattere positivista della fisica e della scienza contemporanee: laddove il Positivismo pensava di poter giungere a qualunque conoscenza, dato un lasso di tempo abbastanza lungo, secondo le teorie della meccanica quantistica è più corretto affermare che esistano oggetti, processi o fenomeni che non conosceremo mai, o che eluderanno sempre la nostra comprensione.
Fisica e filosofia è il tentativo di Heisenberg di far dialogare le sue ricerche con altri ambiti del sapere, e difendere, anche con argomentazioni filosofiche, il principio di indeterminazione e l’interpretazione di Copenhagen dagli attacchi dei fisici contemporanei. «Sarebbe desiderabile, secondo loro, ritornare al concetto di realtà fisica classica o, per usare un termine filosofico generale, all’ontologia del materialismo. Essi preferirebbero ritornare all’idea d’un mondo reale oggettivo le cui particelle minime esistono oggettivamente nello stesso senso in cui esistono pietre e alberi, indipendentemente dal fatto che noi le osserviamo o no» (p. 153).
Secondo il fisico tedesco, invece, la fisica dovrebbe accantonare la pretesa all’oggettività scientifica. È necessario che la fisica recuperi un contatto con i saperi filosofici, al fine di raffinare le sue stesse lenti analitiche in vista di descrizioni, linguaggi e paradigmi più adeguati alle recenti scoperte. Non si tratta, secondo Heisenberg, di cancellare dalla storia Newton e le sue formulazioni con un colpo di spugna, poiché esse sono adeguate a studiare il mondo macroscopico, e rappresentano uno strumento euristico fondamentale. Il vero errore sarebbe, invece, ostinarsi ad applicare a tappeto un paradigma inadeguato al mondo microscopico, solo perché autorevole.
Serena Palumbo
S&F_n. 15_2016