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Filosofia, Etica e Tecnologie Alimentari: Questioni Etiche e Teoretiche

Autore


Paolo Amodio, Teresa Caporale, Luca Lo Sapio


1. Antropo-gastro-poiesi
2. Animali non umani e alimentazione
3. Le nuove frontiere dell’industria alimentare
4. Per una nuova antropo-gastro-poiesi

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S&F_n. 31_2024

Abstract


Philosophy, Ethics and Food Technologies: ethical and theoretical issues “Man is what he eats”

So wrote Ludwig Feuerbach in an essay in 1862. Reflection on what we eat and the ethical issues raised by the consumption of food has constantly run through the history of Western thought, from Plato and Aristotle to the Old Testament, Luther’s exhortations, and Nietzsche with his dietary recommendations in Ecce homo.
However, food ethics, in its current form, did not emerge as an independent field of study of applied ethics until the 1990s. Often, it is Ben Mepham’s 1996 text Food Ethics that is referred to as the starting point for a structured reflection on it. There are numerous topics under analysis in Food Ethics, and they concern both the production and distribution of food as well as its consumption. Browsing through the table of contents of Mepham’s text may give us an idea: world hunger and moral dilemmas; food aid and food distribution; sustainable food systems; the use of food of animal origin; the equation between food production, nutrition and health; food safety and ethical aspects; ethical analysis of food biotechnology; cultural aspects of food biotechnology; consumer freedom as an ethical practice in the food market; ethical issues in agri-food policies and food research. Almost thirty years after the publication of that volume, many of those issues are resurfacing.
Advances in science and technology, however, are also handing us new possibilities to address them: cultured meat and fish, the use of 3D printers for food production, the introduction of new foods and new procedures to make them, the widespread use of AI in agribusiness, the new fields of nutrigenomics and nutraceutics.
In fact, and broadening our gaze from ethical to theoretical reflection, the use of new technologies in the food sector is part of a broader process of technologisation of the world of life (and nature) that is present in various spheres. This process is culminating in the production of biohybrid organisms, in which the natural/biological and technological/artificial elements are difficult to separate. In other words, therefore, ‘in being what he eats’, through the use of various technologies, the human being is bidding farewell to dualistic and naive approaches that see a deep divide between technology and nature – thus laying the foundations for a new philosophical anthropology.
Hence the profound need to understand, analyse and philosophically examine how the use of new technologies and new modes of food production and consumption are able to shape, hybridise and ultimately change the world around us. In this sense, this Dossier aims to explore the theoretical merits and preconditions behind the use of technologies in the creation of new forms of life and sustainable food practices.
In this intersection of philosophy of technology, science and analysis of life-form structures, purely theoretical questions emerge: what notion of technology underpins food production in the 21st century? What concrete practices operate within the new food technologies and how do they relate to the techniques that have always characterised food production? How is it possible, de facto and de jure, to move from the use of foods considered natural to those derived from 3D printing? In other words, what notion of nature emerges from the use of new technologies in today’s food production and printing?
In this dossier, we will examine, from a multi-focal perspective, both the ethical and the historical-philosophical aspects of food, in the belief that food choices attest to important characteristics of our modus essendi and our expectations of the future of humanity.

 

Ciascuno mangia solo ciò che si addice

alla sua individualità o natura,

 alla sua età, al suo sesso,

al suo ceto e alla sua professione, alla sua dignità

Feuerbach

 

Gli animali sono le principali vittime della storia,

e il trattamento subito dagli animali domestici

negli allevamenti intensivi è forse

il crimine peggiore della storia

Yuval Noah Harari

 

Sfuggiremo all'assurdità di far crescere un pollo intero

per mangiare il petto o l'ala,

coltivando queste parti separatamente in un mezzo adatto

Churchill

 

 

1. Antropo-gastro-poiesi

Ludwig Feuerbach ne Il mistero del sacrificio formulava uno degli slogan filosofici di maggiore successo, destinato a essere ripetuto in maniera non di rado decontestualizzata e pretestuosa come fosse un hashtag ante litteram: l’uomo è ciò che mangia[1]. Il filosofo tedesco, con questo sintagma, intendeva sottolineare la natura sensibile di anthropos. Le modifiche corporee, indotte dai diversi tipi di cibo ingeriti, determinano una modifica negli stati disposizionali, i quali a loro volta si riflettono sul modo in cui anthropos si auto-percepisce come entità individuale e collettiva.

Al di là di un’adesione più o meno completa alla Weltanshauung gastro-antropologica feuerbachiana, la storia della nostra specie e degli ominidi che l’hanno preceduta è stata condizionata, in modo forse soltanto in parte ricostruibile, dalla introduzione di specifici alimenti, dalla domesticazione di piante e animali, dalla elaborazione di tecniche come la cottura. Dunque, le Rivoluzioni agricole da un lato, l’introduzione di carne nella dieta e, in seguito, la cottura di quest’ultima hanno segnato altrettante tappe evolutive e l’emergere di nuove configurazioni di anthropos, nei termini di nuove possibilità d’essere e nuove modalità di coniugazione con il mondo esterno[2].

 

2. Animali non umani e alimentazione

La filosofia nasce nelle colonie greche della Ionia d’Asia per dare risposte alternative al linguaggio immaginifico del Mito e rassicurare anthropos rispetto all’inconcepibile apparire del nulla. La filosofia greca, in tal senso, nasce per anthropos e intorno ad anthropos. Nelle sue prime manifestazioni mature essa si configura come una tecnica di addomesticamento degli istinti e di stabilizzazione delle posture razionalmente fondate. In tal senso, lo sfondo animale, da cui pure anthropos proviene, viene opacizzato, fino a divenire il luogo da cui prendere le distanze in una operazione di umanizzazione dalla quale gli animali non umani, salvo rare eccezioni, emergono come gli eterni sconfitti. Il loro repertorio etologico non viene considerato degno di attenzione morale. Tutt’al più essi sono parenti da cui tenersi alla debita distanza.

Il rapporto di sapiens con gli animali non umani si gioca dunque lungo le due traiettorie dello sfruttamento sistematico e della cooperazione interessata. Tuttavia, finché l’Antropocene non farà il suo ingresso nelle trame della storia, lo sfruttamento, per quanto problematico sotto il profilo morale, non assumerà dimensioni orrifiche. L’industria della moda, l’industria alimentare, la farmacologia daranno un impulso decisivo alla creazione di animali-cose, portati al mondo per essere uccisi, macellati e sottoposti a sperimentazioni, per il bene dell’umanità. Tra tutte è proprio l’industria alimentare a sostenere quella che Charles Patterson, impiegando un’immagine per alcuni non priva di una certa enfasi retorica, ha definito l’eterna Treblinka[3]. L’agricoltura animale industriale ha determinato un cambio di scenario, in cui la massimizzazione del profitto, in tandem con la messa a disposizione di un prodotto competitivo per un largo numero di persone, ha guidato la megamacchina della carne che ogni anno sentenzia la morte di quasi cento miliardi di animali non umani terrestri e di un numero incalcolabile di animali acquatici.

Eppure, almeno a partire da Jeremy Bentham e dalle sue riflessioni sul valore della senzienza, gli animali non umani hanno cominciato a uscire dall’ombra di anthropos e a entrare nel circolo della considerazione morale.

Una nuova sensibilità guidata da un lato dalla riscoperta o, in ogni caso, dalla rivalorizzazione dei sentimenti da parte dell’illuminismo scozzese, dall’altro dalle nuove teorie dell’evoluzione che, almeno a partire da Lamarck, ma in misura ancor più rilevante con Darwin e Wallace si facevano strada, iniziava a ridisegnare i confini tra sapiens e gli altri animali.

Le conoscenze sempre più dettagliate del repertorio comportamentale di molti animali non umani riducevano sempre più i margini di plausibilità delle teorie che li escludevano ab origine dal circolo della considerazione morale[4]. Non è certo un caso che sia proprio la Gran Bretagna la patria d’elezione delle prime norme a tutela del loro benessere. Eppure, il problema del rispetto del repertorio etologico degli animali si dispiegherà nella sua pienezza soltanto dopo la Seconda guerra mondiale, allorquando da un lato l’industria alimentare dall’altro l’industria farmacologica necessiteranno di impiegare in maniera capillare un enorme quantitativo di animali per il soddisfacimento di interessi umani più o meno legittimi.

 

3. Le nuove frontiere dell’industria alimentare

Di fronte alla crescente richiesta di proteine animali, con i mercati emergenti di Cina e India a fare da traino, in Occidente si è sempre più posta e imposta la necessità di individuare alternative sostenibili al consumo di carne ottenuta mediante agricoltura animale industriale.

Dall’entomofagia all’agricoltura cellulare, dall’uso delle stampanti 3D all’impiego dell’IA per ottimizzare la produzione, le nuove strategie della food tech e dell’industria alimentare stanno spianando la strada a nuovi territori in cui la tecnologia e una nuova consapevolezza gastro-etica agiscono potenzialmente per il benessere del pianeta[5].

Nonostante le nuove tecnologie - come nel caso delle plant-based meat o della carne coltivata - e i nuovi alimenti - come nel caso degli insetti – siano o si stima saranno meno impattanti per l’ambiente e per la salute umana e consentano o si stima consentiranno di evitare molti dei problemi etici associati all’agricoltura animale industriale, non poche voci si sono levate per evidenziare criticità e scenari allarmanti.

Basti, a mo’ di exemplum, citare due casi, quello dell’entomofagia e quello della carne coltivata.

Se l’impiego di insetti e aracnidi come cibo e mangime appare ai più privo di aspetti problematici - se non, nel caso del consumo umano, quelli correlati al disgusto che il potenziale consumatore proverebbe alla sola idea di ingerire grilli, cavallette o aracnidi[6] – a ben guardare la questione appare più complessa dal momento che non pochi studiosi sollevano una batteria di argomenti capaci di sparigliare le carte.

Ci sono infatti sia preoccupazioni antropocentriche sia preoccupazioni non-antropocentriche associate alla produzione su larga scala di insetti[7].

Quelle antropocentriche non rappresentano in fin dei conti un ostacolo particolarmente insidioso e sono, ad esempio, l’effettivo valore nutrizionale, il reale impatto ambientale e la sicurezza alimentare e, in generale, l’accettabilità sociale degli insetti come prodotto edibile

In base a studi, ormai ampiamente condivisi, la digeribilità degli insetti è maggiore rispetto alla maggior parte dei vegetali ricchi di proteine[8]; gli insetti presentano percentuali molto basse di acidi grassi rispetto alla carne[9]; sono ricchi di minerali e vitamine[10].

Dal punto di vista dell’impatto ambientale e della distribuzione alimentare (data anche la crescita della popolazione mondiale), sarebbero in grado di garantire un adeguato apporto proteico ad un costo ambientale estremamente più ridotto[11] e, se messe in campo in maniera appropriata, le misure per garantire la sicurezza alimentare permetterebbero di evitare rischi come l’elevata concentrazione di sostanze chimiche tossiche[12] o la presenza di parassiti.

Tra le preoccupazioni non-antropocentriche, troviamo - a partire dal riconoscimento da parte di alcuni studiosi[13] di un intrinseco status morale degli insetti, in virtù del possesso di caratteristiche come la senzienza, un qualche grado di consapevolezza e capacità di apprendimento[14] - il benessere animale, l’integrità, il rispetto della natura.

A questi, probabilmente, andrebbe aggiunto, sulla base di una considerazione etica maggiormente centrata sulle nozioni di carattere morale, perfezionamento del sé, virtù e vizi l’opportunità di evitare posture etiche che favoriscano tratti del carattere disdicevoli, in particolare l’incapacità di rispettare ciò che è strutturalmente diverso da noi. In effetti, mentre la vicinanza filogenetica con altri animali non-umani, in particolare i mammiferi, ci consente di dispiegare sentimenti come empatia e simpatia, la lontananza filogenetica ci impedisce di agire in analogia con invertebrati, ad esempio crostacei, insetti e aracnidi. Tuttavia, coltivare i tratti del carattere che consentono di apprezzare il diverso agevola la fioritura di individui tolleranti e attenti alle esigenze (delle alterità non umane) incomprimibili negli schemi antropocentrici.

Considerazioni simili, al netto delle peculiarità dell’oggetto in campo, possono essere sollevate per la cosiddetta carne coltivata.

Insieme a una batteria di preoccupazioni antropocentriche[15], infatti, troviamo preoccupazioni relative ai diritti degli animali non umani che verrebbero comunque compromessi nell’utilizzo degli animali donatori di cellule sottoposti a ripetute biopsie per il prelievo delle cellule necessarie all’implementazione della procedura; preoccupazioni relative all’alterazione di una idea di natura che dovrebbe rimanere vincolante nel regolare le nostre prassi e i nostri stili di vita[16]. A queste, si associano considerazioni relative all’opportunità di promuovere una tecnologia che renderebbe meno appealing stili di vita vegetariani e vegani che, al contrario, dovrebbero costituire il reale obiettivo della transizione alimentare[17], favorendo invece modelli del sé che non dovrebbero essere desiderati nell’ottica di un percorso di effettivo autoperfezionamento[18].

 

4. Per una nuova antropo-gastro-poiesi

La tecnologia è ciò che caratterizza lo specifico modo di essere di sapiens. Noi produciamo oggetti tecnici per rispondere a esigenze vitali. Una volta immessi nelle trame dell’antroposfera tuttavia tali oggetti, dischiudendo possibilità che i loro inventori non sempre avevano previsto, squadernano nuovi modi d’essere, nuovi stili di vita: aprono a modi di esistenza non prevedibili ex ante. È ormai sempre più evidente che ciò comporti l’abbandono di una prospettiva strumentalista del medium tecnico per la quale gli strumenti tecnici o le tecnologie non sono altro che dispositivi da utilizzare e incoraggi al contrario l’adesione a un modello interazionista[19], in cui il medium tecnico “fa” sapiens che a sua volta “fa” il medium tecnico, in un loop senza soluzione di continuità e narrativista, per cui il medium tecnico contribuisce alla costruzione delle narrazioni sociali, ossia ai modi in cui raccontiamo noi stessi, in quanto specie autopoietica, e ci autopercepiamo.

Dunque, se l’uomo è ciò che mangia, allora le nuove opzioni alimentari possono favorire l’emergere di posture etiche inedite, in cui, ormai lontani dalla metafisica binaria costruita intorno alle nozioni di natura e cultura; spontaneo e tecno-mediato; umano e animale, saremo in grado (o almeno messi nelle condizioni), in quanto individui e collettività organizzate, di evitare le modalità del dominio, verso gli animali non umani e, più in generale, le alterità non umane (al di là della loro vetusta collocazione nella griglia naturale-artificiale) e elaborare modalità della condivisione e cooperazione in vista della conservazione e promozione della nostra specie in un contesto di biodiversità-fioritura intesi come valori inemendabili da perseguire.


[1] L. Feuerbach, L’uomo è ciò che mangia (1862), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2017.

[2] Cfr. L. Lo Sapio, La Carne sintetica. Un volano per costruire un nuovo rapporto tra sapiens e gli animali non umani, Carocci, Roma 2024.

[3] C. Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l'Olocausto (2002), tr. it. Editori Riuniti, Roma 2003.

[4] Cfr. A. Vitale & S. Pollo, Human/animal relationships in transformation: scientific, moral and legal perspectives, Palgrave MacMillan, Londra 2022.

[5] Questo non deve farci trascurare di considerare con attenzione l’apprezzabilità di stili di vita non urbanocentrici, che vedono il mondo rurale come sede specifica di valori morali da preservare e custodire (cfr. P.B. Thompson, The agrarian vision. Sustainability and environmental ethics, University Press of Kentucky, Lexington 2010; W. Berry, A world lost, Conterpoint Press, Berkeley 1996).

[6] Cfr. S.R. Kellert, Values and perceptions of invertebrates, in «Conservation Biology», 7, 1993, pp. 845-855; W. Verbeke, Profiling consumers who are ready to adopt insects as a meat substitute in a Western society, in «Food quality and preference», 39, 2015, pp. 147-155.

[7] M. Gjerris, C. Gambog et al., Ethical aspects of insect production for food and feed, in «Journal of Insects as Food and Feed», 2, 2, 2016, pp. 101-110.

[8] M.D. Finke, Encyclopedia of entomology, Kluwer Academic Press, Dordrecht 2004

[9] B.A. Rumpold & O.K. Shlüter, Nutritional composition and safety aspects of edible insects, in «Molecular nutrition and food research», 57, 2013, pp. 802-823

[10] D.L. Christensen et al., Entomophagy among the luo of Kenya: a potential mineral source?, in «International of Food Sciences and Nutrition», 57, 2006, pp. 198-203.

[11] T. Abbasi & S.A. Abbasi, Reducing global environmental impact of livestock production: the minilivestock option, in «Journal of Cleaner production», 112, 2016, pp. 1754-1766.

[12] A.J. Charlton et al., Exploring the chemical safety of fly larvae as a source of protein for animal feed, in «Journal of insects as food and feed», 1, 2015, pp. 7-16.

[13] Ad esempio P. Weiss, Man’s freedom, Yale University Press, New Haven 1950; J. Mather & R.C. Anderson, Ethics and invertebrates: a cephalopod perspective, in «Disease of Aquatic Organisms», 75, 2007, pp. 119-129.

[14] J.A. Mather, Animal suffering: an invertebrate perspective, in «Journal of Applied Animal Welfare Science», 75, 2001, pp. 205-212.

[15] Tra queste, come emergerà anche in alcuni contributi presenti nel Fascicolo, il reale impatto ambientale della tecnologia, l’effettiva possibilità di rendere la tecnologia scalabile, la sicurezza alimentare e la possibile cancerogenità del prodotto o, d’altro canto, l’impatto che la tecnologia avrebbe su settori produttivi che coinvolgono migliaia di lavoratori o su territori che hanno nella propria cultura gastronomica specifiche produzioni carnee (per una sintesi di queste problematiche suggeriamo A. Ferrari, Carne coltivata. La rivoluzione a tavola?, Fandango, Roma 2024). 

[16] Cfr. L. Lo Sapio, op. cit.

[17] Cfr. C. Alvaro, Lab-grown meat and veganism: a virtue oriented perspective, in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics», 1, 2017, pp. 127-141

[18] Cfr. B. Bramble, Against flesh: Why we should eschew (not chew) lab-grown and happy meat, in C. Abbate & C. Bobier (eds.), New Omnivorism and Strict Veganism: Critical Perspectives, Routledge, London-New York 2023.  

[19] S. Umbrello, Oggetti buoni. Per una tecnologia sensibile ai valori, Fandango, Roma 2023.

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