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Eterotopie. Lo spazio tra potere e sapere nell’impresa genealogica di Michel Foucault

Autore


Pietro Sebastianelli

Università degli studi di Napoli Federico II

Docente di Storia delle Dottrine politiche


Günther Anders’ moralism

  1. Introduzione
  2. Eterotopie vs. utopie
  3. Stultifera navis e «grande internamento»: un’archeologia del manicomio
  4. Il panopticon e gli spazi della disciplina
  5. Architettura e biopotere: l’impatto dei dispositivi di sicurezza sullo spazio urbano
  6. L’eterotopia nella società digitale: crisi di un concetto e nuovi usi (con e oltre Foucault)

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S&F_n. 32_2024

Abstract


Heterotopias. The Space between power and knowledge in Michel Foucault's Genealogical project

Throughout his long and articulate philosophical research, Michel Foucault devoted few essays and a few interviews to the theme of space as a specific object of analysis. However, we can observe how Foucault's works are studded with meticulous descriptions of spaces: from the asylum to the prison, from the hospital to the city, ending with the body as a surface for inscribing power relations. To observe with attention, therefore, the problematic of space crosses much of the intellectual production of the French philosopher, who never, however, intended to develop it into the object of a theory. The aim of this essay is to attempt to frame the theme of space in Michel Foucault's research, through a recognition of some of the multiple theoretical places in which the problematic of space comes into question in the French philosopher's thought.

  1. Introduzione

Nel corso della sua lunga e articolata impresa filosofica, Michel Foucault non ha dedicato che pochi saggi e qualche intervista al tema dello spazio come oggetto specifico di ricerca e di analisi. E tuttavia, non si può non notare come l’opera di Foucault sia costellata di descrizioni minuziose di luoghi, di spazi: dal manicomio alla prigione, dall’ospedale alla città, per finire con il corpo come superficie di iscrizione delle relazioni di potere. Si può affermare, quindi, con una buona dose di evidenza, che la problematica dello spazio attraversi gran parte della produzione intellettuale del filosofo francese, che tuttavia non ha mai inteso farne l’oggetto di una teoria. Lo spazio, per Foucault, non è un a priori trascendentale, ma un campo di tensioni conteso tra potere e sapere, le cui forme non sono universalizzabili, ma sempre storicamente situate e contingenti. Forme che l’impresa genealogica deve cogliere per far emergere i campi di forze, i discorsi e le pratiche che definiscono lo spazio in termini processuali: si potrebbe quindi affermare che, così come esistono, per Foucault, dei «processi di soggettivazione», esistano altresì dei “processi di spazializzazione”, dinamici, prodotti da contese per definire, ordinare e destrutturare tali spazi. È, ad esempio, nello spazio che si formano i saperi e circolano le microfisiche del potere. È sulla superficie del corpo che vengono applicate le discipline, così come è dall’esame del corpo che si estraggono i saperi delle scienze mediche e umane. Il panopticon è, forse, l’esempio che, più di tutti, rende esplicita l’importanza che lo spazio assume nella ricerca filosofica di Michel Foucault: un modello architettonico, in cui l’organizzazione degli spazi si aggancia al preciso intento di sorvegliare gli individui, rendendoli docili e produttivi, dischiudendo allo stesso tempo una prospettiva di osservazione, un certo tipo di sguardo, che rende possibile un certo sapere e una certa conoscenza dell’uomo.

In termini generali, si può quindi dire che Foucault abbia concepito lo spazio come una griglia analitica di cui occorre decifrare le striature, le incrinature, i punti di articolazione tra sapere e potere: nessuna figura “pura” dello spazio, nessuna superficie liscia, nessun foglio bianco. Lo spazio non può che essere sempre già attraversato dalle segnature che lo piegano, lo deformano, lo contorcono:

non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose[1].

Lo spazio è, insomma, l’opera di un taglio, che sia dell’ordine del potere o del sapere. Sempre, in ogni caso, esso è l’architrave di specifici processi di soggettivazione.

L’obiettivo del mio contributo è quello di tentare di inquadrare il tema dello spazio nella ricerca di Michel Foucault, attraverso una ricognizione di alcuni dei molteplici luoghi teorici nei quali la problematica dello spazio entra in gioco nel pensiero del filosofo francese.

 

  1. Eterotopie vs. utopie

Uno dei rari testi dedicati esplicitamente da Foucault al tema dello spazio non può che rappresentare il punto di partenza della mia ricognizione. È curioso notare che il testo in questione – una conferenza pronunciata da Foucault a Tunisi nel 1967, dal titolo Des espaces autres – sia stato licenziato per la pubblicazione soltanto decenni dopo, poco prima della sua morte[2]. Pensato nel 1967, agli inizi della sua ricerca, il testo vedrà infatti la luce solo nel 1984[3]. Si tratta del testo in cui Foucault introduce un neologismo destinato a diventare celebre: quello di «eterotopia»[4]. Si tratta di un concetto che avrà una certa fortuna nell’ambito degli studi di urbanistica e di architettura contemporanei, ma anche in alcune prospettive storiografiche[5]. Non risulta, invece, che Foucault ne abbia rimodulato, nel corso degli anni, impieghi e significati, per quanto, come si vedrà, la sua ricerca precedente e successiva alla conferenza del 1967 sia stata costellata dalla descrizione di eterotopie.

Queste ultime si definiscono come le matrici di «spazi altri», diversi dalle utopie. Se le utopie sono, infatti, «spazi privi di un luogo reale», le eterotopie sono al contrario dei «luoghi reali», «effettivi», una sorta di «contro-luoghi», i quali «hanno la curiosa proprietà di essere in relazione con tutti gli altri luoghi, ma con una modalità che consente loro di sospendere, neutralizzare e invertire l’insieme dei rapporti che sono da essi stessi delineati, riflessi o rispecchiati»[6]. Le eterotopie, quindi, si differenziano dalle utopie per il fatto di essere effettivamente localizzabili, di essere istituite nel sociale e di fare dello spazio un uso tale da determinare una posizione di alterità rispetto a tutti gli altri luoghi esistenti. Tale posizione di alterità localizzabile rende questi luoghi allo stesso tempo interni ed esterni alla società di cui sono parte. Ne sono parte, in sostanza, nella loro alterità. Ne sono inclusi, attraverso la loro differenza. Come se la loro soglia di accesso, anziché schiudersi su un interno, aprisse su di un esterno. Questi spazi altri, proprio come le utopie, riflettono e contestano tutti gli altri luoghi, poiché in essi la normalità viene sovvertita. Se l’utopia è, tuttavia, il sogno o il racconto di una società diversa proiettata in un tempo indeterminato, l’eterotopia mostra invece la concretezza reale di un luogo che si ritaglia in una piega, differenziandosi da tutti gli altri spazi esistenti. Sono, ad esempio, eterotopie i manicomi, le prigioni, le cliniche psichiatriche, gli ospedali, che hanno i loro specifici riti di ingresso, le proprie procedure di selezione e di accesso, i propri codici di riferimento, che possono realizzare i sogni osceni e oscuri di una società, così come le istanze riformatrici o la sperimentazione di modi di vivere altrimenti.

Nella conferenza in questione, pur mostrando una densa mole di esempi, Foucault si attiene a un profilo descrittivo molto generale: il suo intento è infatti quello di definire una griglia di analisi. Così, Foucault individua alcuni principi che dovrebbero presiedere a una possibile «eterotopologia».

Il primo principio riguarda la costante presenza, in ogni cultura esistente, dall’antichità ai giorni nostri, di eterotopie. In maniera molto schematica e semplificativa, il filosofo francese distingue le «eterotopie di crisi», tipiche delle società primitive, dalle «eterotopie di deviazione», che nella società moderna soppiantano progressivamente le prime. Se le eterotopie di crisi sono luoghi privilegiati e sacri, riservati agli individui che si trovano, in rapporto alla società, in uno stato di crisi (ad esempio gli adolescenti, le donne nel periodo mestruale, le partorienti o gli anziani)[7], le eterotopie di deviazione sono indicate come quelle «nelle quali vengono collocati quegli individui il cui comportamento appare deviante in rapporto alla media e alle norme imposte»[8]. In secondo luogo, le eterotopie possono assumere funzioni e statuti diversi a seconda del rapporto che stabiliscono con una certa cultura: una società può, infatti, far funzionare diversamente la stessa eterotopia in momenti diversi della propria storia. È il caso, ad esempio, dei cimiteri, la cui esistenza nella cultura occidentale risale a tempi remoti e il cui statuto e la cui funzione si modificano radicalmente nel corso del tempo. Il terzo principio riguarda, invece, la giustapposizione, in un unico luogo, di diversi spazi, anche tra loro incompatibili: è il caso, ad esempio, dei teatri e dei cinema, o dei giardini. Quarto principio è l’eterocronia, che si affianca all’eterotopia, ovvero le temporalità alternative, spesso anche confliggenti, che si ritrovano ad esempio nei musei o nelle biblioteche: luoghi «per un’accumulazione perpetua e indefinita del tempo in un luogo che non si sposta»[9]. Oppure come lo sono state, fino dall’inizio dell’epoca moderna, le fiere; o, ancora, i villaggi vacanze, che offrono ai turisti la possibilità di abitare, per un breve periodo, l’illusione di un tempo diverso. Quinto principio descrittivo delle eterotopie è rappresentato dal fatto che esse hanno sistemi di accesso che le isolano, ma che le rendono allo stesso tempo e paradossalmente attraversabili. Alle eterotopie si accede, infatti, o perché si è costretti, come nel caso della caserma o della prigione; oppure sulla base di riti e purificazioni: «non è possibile entrarvici se non si possiede un certo permesso e se non si è compiuto un certo numero di gesti»[10]. Interessante è, da questo punto di vista, l’effetto mobile di inclusione ed esclusione che caratterizza le eterotopie. Alcune di queste, infatti, sembrano avere sistemi di accesso aperti, mentre in realtà celano forme sottili di esclusione: «si crede di entrare e si è, per il fatto stesso di entrare, esclusi»[11]. Foucault fa l’esempio delle camere dei motel americani dove si entra con la propria auto e la propria amante e dove questa «sessualità illegale viene allo stesso tempo protetta e tenuta in disparte»[12]. Infine, la funzione: ogni eterotopia sviluppa con lo spazio circostante una funzione. Ad esempio, le case chiuse, oppure le colonie realizzate in America del Sud dai gesuiti: comunità perfettamente regolate, tali da far apparire gli altri spazi come luoghi di disordine e di caos.

La conferenza si conclude con il riferimento all’eterotopia «per eccellenza» della nave, «frammento galleggiante di spazio», che Foucault aveva magistralmente descritto diversi anni prima: si tratta della stultifera navis che simboleggia un certo modo di organizzare l’esperienza della follia nel corso dell’età classica.

 

  1. Stultifera navis e «grande internamento»: un’archeologia del manicomio

Vediamo l’attenzione di Foucault concentrarsi sull’eterotopia della nave nell’Histoire de la folie (1961), opera che si apre proprio con il riferimento all’immagine della stultifera navis, un motivo ricorrente nella cultura dell’età classica, il cui commento si incanala sulle tracce dell’opera letteraria di Sebastian Brant e di quella pittorica di Hieronymus Bosch. Immaginazione artistica e letteraria, ma anche esempio storico concreto dello spazio riservato alla follia in epoca rinascimentale, Foucault ne fa il simbolo della modalità attraverso la quale viene pensato e gestito socialmente il folle in questa fase storica. Sinonimo di una prigionia errante, la nave è l’eterotopia che rappresenta la volontà di rendere il folle «prigioniero in mezzo alla più libera, alla più aperta delle strade: solidamente incatenato all’infinito crocevia»[13]. Si tratta di un esempio emblematico del modo attraverso il quale la follia è relegata in uno «spazio altro», ben diverso tuttavia da quello che, di lì a poco, sarà disegnato e organizzato intorno al «grande internamento». Le navi, infatti, attraccano nei porti delle città solo per essere nuovamente respinte: e tuttavia, in questo gioco di approdi e ripartenze, Foucault vede all’opera la segreta alleanza che vincola ragione e follia in epoca rinascimentale. Nel giro di pochi decenni, tuttavia, il quadro di riferimento cambierà, e sarà una nuova eterotopia a segnare l’ingresso della follia in un diverso gioco di verità, di inclusioni ed esclusioni, o di inclusioni escludenti: ossia quando i luoghi, in cui nel Medioevo veniva confinato il lebbroso, vengono a essere rifunzionalizzati nell’ambito di quel processo che Foucault descrive come il «grande internamento», il cui atto di nascita egli individua nella fondazione, nel 1656, dell’Hôpital Général[14]. È di nuovo un’eterotopia, qui, a segnare il gesto con il quale la follia viene a essere rinchiusa e imprigionata in uno spazio di reclusione e di indistinzione, che associa i folli ai poveri, ai criminali, ai mendicanti e agli emarginati di ogni sorta. L’erranza della stultifera navis è, nel corso dell’età classica, sostituita dalle mura di quello che è l’antenato più prossimo del manicomio, ma che, con esso, ha poco o nulla a che spartire. Il luogo, di cui l’Hôpital général è il simbolo, è infatti tutt’altro che un’istituzione medica: «è piuttosto una struttura semigiuridica, una specie di entità amministrativa che, accanto ai poteri già costituiti, e al di fuori dei tribunali, decide, giudica ed esegue»[15]. Il grande internamento è il processo attraverso il quale gli antichi lebbrosari del Medioevo, una volta scomparso il pericolo della lebbra, vengono a essere rifunzionalizzati in ogni parte d’Europa per accogliere un insieme indistinto di figure della marginalità sociale. L’insistenza sul carattere eterotopico di questi luoghi, tuttavia, non serve a Foucault per descrivere la storia di un’istituzione – quella dell’asilo o del manicomio – e l’evoluzione che l’avrebbe condotta dall’essere luogo di contenimento indifferenziato a spazio della medicalizzazione della follia[16]. Al contrario, il carattere eterotopico dell’ospedale, della casa di contenimento, dell’asilo, illustra la fitta trama di istanze (morali, politiche, religiose, ecc.) in virtù delle quali tali luoghi possono assumere il loro significato in relazione a un’epoca. In questo senso, il carattere eterotopico di questi luoghi serve a illustrare l’universo di tensioni che hanno reso possibile il gesto con il quale la follia si trova, all’inizio dell’età moderna, a essere relegata al silenzio. Per farlo, Foucault concentra la propria analisi sulla molteplicità di istanze che strutturano la dimensione eterotopica dei luoghi dell’internamento (editti sovrani, preoccupazioni morali, istanze politiche di ordine e sicurezza sociali, prospettive economiche di crescita delle forze di uno Stato). L’internamento è, infatti, originariamente, affare di polizia diffuso in gran parte dell’Europa di inizio età moderna[17], che indica come la follia possa essere stata relegata, nella percezione sociale, al campo più vasto e indifferenziato della povertà e dell’emarginazione. Ma esso rappresenta anche, per Foucault, l’altra faccia del gesto filosofico con il quale Descartes inaugura la ratio moderna: l’altro polo del cogito che, mentre afferma sé stesso, relega allo stesso tempo la follia al sottosuolo, tracciando una linea di separazione così netta che l’antica parentela tra ragione e sragione potrà essere per lungo tempo dimenticata. Certo, questa fase del pensiero di Foucault sembra essere caratterizzata da quella che alcuni interpreti hanno definito come l’«illusione del discorso autonomo»[18]: eppure si intravede, in controluce, in Histoire de la folie molto più che ne Les mots et le choses o nell’Archeologie du savoir, quanto incida la questione del potere nella storia delle eterotopie. È proprio il concetto di eterotopia, infatti, che ci consente, leggendo l’Histoire de la folie, di non cadere nell’errore prospettico che ci farebbe guardare all’internamento come a una pratica rudimentale e incerta che attendeva solo di essere positivamente razionalizzata nel campo di un sapere scientificamente organizzato intorno a più stabili parametri di verità. Al contrario, l’internamento non presuppone, originariamente, alcun senso medico – e l’Hôpital général del 1656 non appare come l’antenato del manicomio: «l’isolamento – afferma Foucault – si è infatti reso necessario per tutt’altra causa che la preoccupazione di guarire»[19]. E, tuttavia, con il grande internamento una linea è tracciata e un bando è stato emesso: la ragione non affronta più il potenziale disordine della sragione come una sua possibilità immanente, «non tenta più di scavarsi con le sue forze la strada fra tutto ciò che può sottrarsi a lei o che tenta di rifiutarla. Essa regna allo stato puro»[20]. L’eterotopia dell’Hôpital général è lo spazio selettivo di una ragione che taglia i ponti con l’insensato, relegandolo al silenzio del non dicibile.

Quando, alla fine del XVIII secolo, la follia sarà liberata da quello spazio di indistinzione in cui era stata relegata, accanto ai poveri, ai mendicanti, ai criminali e agli emarginati di ogni sorta, il gesto con cui essa verrà isolata dal resto dell’universo della sragione porterà con sé il segno originario di questa esclusione: sarà infatti per liberare gli altridalla vicinanza con la follia, che il folle sarà assegnato a uno spazio diverso, a una diversa eterotopia. L’ingresso della figura del medico all’interno dell’asilo sarà quindi il frutto di una «nuova separazione». La follia non rompe il cerchio dell’internamento grazie all’innesto di una pratica scientifica e a una riforma delle istituzioni: la critica politica dell’internamento, nel XVIII secolo, non avrà infatti come obiettivo la liberazione della follia o l’affidamento del folle a una pratica più filantropica e rispettosa dell’uomo che comunque sopravvive nel folle. Al contrario, l’ingresso della medicina nello spazio dell’asilo «ha legato più saldamente che mai la follia all’internamento»[21]. E così, mentre per i poveri, i mendicanti e i criminali si avanzerà la costrizione e l’obbligo al lavoro o si apriranno le porte dell’assistenza filantropica, l’internamento resterà lo spazio riservato al folle e al suo delirio intraducibile. È ancora una volta un’eterotopia, quella dell’asilo – Bicêtre, ad esempio – a illustrare l’innesto del sapere medico nella pratica dell’internamento. L’asilo non è più la discarica sociale per emarginati di ogni tipo, ma il luogo in cui il folle si offre allo sguardo del medico, che lo costituisce come oggetto di osservazione in uno spazio di analisi costante e regolare. L’asilo rinnova, infatti, la pratica dell’internamento non sul versante della reclusione o della privazione totale di libertà, bensì su quello di una libertà ristretta o regolata dalla sua funzione terapeutica. In questa trasformazione, che attraversa l’eterotopia dell’asilo, la follia può diventare una forma osservata, un oggetto investito dal linguaggio, una realtà conosciuta: l’istanza di potere che attraversa la pratica dell’internamento definisce lo spazio per la formazione di un sapere medico del quale l’eterotopia non è certo la causa, ma ne definisce le condizioni di possibilità, venendo essa stessa, in questo modo, a esserne investita e ridefinita. È così che l’ingresso del personaggio del medico, all’interno dell’asilo, viene a indicare la dislocazione eterotopica che rende uno stesso spazio funzionale a nuove istanze. Se l’ingresso all’Hopital général era regolato dalle lettres de cachet, ora è il medico a essere posto sulla soglia che regola l’accesso dell’asilo. È l’apoteosi del personaggio medico – come nel caso di Philippe Pinel – il quale, come afferma Foucault, non assume il governo dell’asilo come detentore di un sapere scientifico sulla follia, ma in virtù del fatto di esserne il giudice, nella misura in cui padroneggia i suoi luoghi: quel territorio morale per gran parte ignoto, rappresentato dalla follia, e allo stesso tempo lo spazio fisico a essa riservato.

 

  1. Il panopticon e gli spazi della disciplina

Si delinea quindi, a partire dall’indagine sulla storia della follia, l’idea che l’eterotopia non costituisca una dimensione della marginalità. Nella sua alterità, l’eterotopia non indica affatto un luogo periferico, quanto piuttosto una griglia per l’analisi genealogica dei fulcri decisivi e centrali della modernità filosofica e politica occidentale. L’eterotopia, come si è visto, è uno spazio ben definito e perimetrabile nella misura in cui è solcato da istanze, volontà, determinazioni, contese che rivelano alcune poste in gioco fondamentali del modo di organizzare una certa esperienza da parte di un’epoca. Poteri, saperi e processi di soggettivazione trovano, infatti, nelle eterotopie, la loro articolazione, la loro superficie di iscrizione, pur senza esserne – è bene ribadirlo – il fondamento.

L’indagine sulla società disciplinare e l’analitica (o microfisica) dei poteri che regge l’impianto genealogico di Surveiller et punir (1975) e di alcuni corsi al Collège de France di quegli stessi anni, ci permette di fare un passo in avanti e di comprendere ancora più a fondo il ruolo che lo spazio gioca nelle contese di potere e nella formazione dei saperi. Surveiller et punir è infatti il saggio in cui Foucault abbandona lo sguardo dall’alto sulle forme del grande internamento e penetra all’interno di quella minuziosa e microfisica opera di fabbricazione dell’individuo moderno rappresentata dalla razionalità di potere disciplinare, di cui la prigione rappresenta l’eterotopia per eccellenza. Qui, l’analitica dello spazio è raddoppiata, amplificata e complicata dalla messa in evidenza del suo essere investito di compiti politici essenziali per la società moderna. Lo spazio emerge, in Surveiller et punir, come un operatore del processo di soggettivazione non più soltanto di figure ambigue della marginalità, che dovrebbero rivelare, come in un gioco di specchi, il lato oscuro e dimenticato della soggettivazione occidentale, bensì dell’individuo moderno tout court. La descrizione che Foucault compie del passaggio dalla piazza come luogo in cui si manifesta lo splendore del supplizio – come nel caso del regicida Damiens – alla prigione come luogo di reclusione, in cui la pena entra in una regione di invisibilità, segnala l’emergere di una nuova razionalità dell’esercizio del potere, che mira a fabbricare individui docili e produttivi. La prigione – eterotopia moderna – non punisce infatti per cancellare un delitto, ma «per trasformare un colpevole»[22]. Emerge qui il ruolo che lo spazio viene ad assumere nella razionalità politica moderna. Le discipline, infatti, si inscrivono sulla superficie del corpo individuale attraverso una precisa articolazione dello spazio. Nel «diagramma» disciplinare – che comprende prigioni, ma non solo, anche caserme, scuole, ospedali e spazi concentrazionari in generale – è essenziale la «ripartizione degli individui nello spazio»[23]. Non si tratta di un supplemento di potere che si aggiunge, attraverso l’organizzazione dello spazio, dall’esterno, ma della modalità immanente del suo funzionamento. Ecco allora che l’antichissima eterotopia della «clausura monastica» viene a essere rifunzionalizzata in chiave punitiva per concentrare e suddividere allo stesso tempo, per meglio disciplinarli, gli individui nello spazio. Ad essa si aggiunge il quadrillage, ovvero l’operazione che consiste nell’assegnare a ciascun individuo il proprio posto e ad ogni posto il proprio individuo. L’esempio della manifattura offre a Foucault la prospettiva più adeguata a descrivere il modo attraverso il quale il quadrillage operi come organizzazione dello spazio finalizzata a scomporre i gesti individuali per ricomporli sul piano dell’apparato produttivo nel suo complesso, in modo da poter estrarre da forze elementari un surplus di forza produttiva che sia maggiore della somma delle forze individuali. È un gioco di visibilità e sorveglianza che deve imporsi attraverso l’organizzazione dello spazio, il cui modello generale di riferimento è il «campo»:

diagramma di un potere che agisce per mezzo di una visibilità generale. Si ritroverà nell’urbanistica, nella costruzione delle città operaie, di ospedali, scuole, ospizi, prigioni, case di educazione, questo modello del campo o almeno del suo principio: l’incastrarsi spaziale delle sorveglianze gerarchizzate[24].

 

L’architettura diventa un operatore nella trasformazione degli individui: offrirli alla conoscenza, modificarli. Essa gioca un ruolo fondamentale nella costituzione delle discipline, non soltanto rendendo possibile l’istanza normalizzatrice che si applica sul corpo degli individui: il campo di visibilità, che una tale organizzazione dello spazio schiude, offre, infatti, anche una prospettiva di analisi e osservazione permanente. Esso rende possibile la pratica di indagine dell’esame, attraverso il quale le discipline oggettivano l’individuo per studiarlo, analizzarlo, osservarlo in permanenza, estraendo da esso saperi e conoscenze. Si estrae sapere dall’oggettivazione di coloro che sono assoggettati nello spazio disciplinare. È così che l’ospedale può diventare un apparato per esaminare (e rendere possibile la nascita della moderna medicina clinica); si pensi, ancora, all’esame nelle scuole: con l’esame, infatti, si rende possibile non solo la distribuzione del sapere dal maestro all’allievo, ma anche l’inverso (rendendo possibile la nascita della pedagogia). L’eterotopia disciplinare rende lo spazio architettonicamente predisposto ad articolare, l’uno sull’altro, poteri su saperi e saperi su poteri: «La nascita delle scienze dell’uomo? Verosimilmente dobbiamo cercarla in quegli archivi, di scarsa gloria, in cui è stato elaborato il gioco moderno delle coercizioni sui corpi, i gesti, i comportamenti»[25].

Il panopticon di Bentham diventa, per Foucault, la «figura architettonica» esemplare di questa composizione. Non solo progetto architettonico, il panopticon assurge a diagramma della società disciplinare: una tecnologia politica che può essere «distaccata da ogni uso specifico», integrandosi a molteplici funzioni (educazione, terapia, produzione, castigo, ecc.). Diagramma che non gioca un ruolo meramente repressivo, ma di amplificazione: aumentare la produzione, sviluppare l’economia, diffondere l’istruzione, elevare il livello della moralità pubblica, far crescere e moltiplicare le ramificazioni della disciplina con l’obiettivo di «rendere l’esercizio del potere il meno costoso possibile»[26].

 

  1. Architettura e biopotere: l’impatto dei dispositivi di sicurezza sullo spazio urbano

Nel 1982, nel corso di una conversazione con Paul Rabinow, intitolata Space, knowledge and power, Foucault ritorna sul carattere politico dell’organizzazione architettonica dello spazio[27]. Si tratta di un’intervista nella quale il filosofo francese ripercorre alcune tappe della ricerca svolta negli anni 1977-1978, dove la questione spaziale viene inquadrata dal punto di vista della nascita del moderno concetto di biopotere[28]. Secondo Foucault, è a partire dal XVIII secolo che si vede apparire in Europa una riflessione sull’architettura in quanto «funzione di obiettivi e tecniche di governo della società»[29]. Non si tratta di una novità in termini assoluti, dal momento che l’architettura ha sempre svolto, come precisa Foucault, la funzione di organizzare politicamente lo spazio: ciò che cambia nel XVIII secolo è il fatto che questa riflessione sullo spazio, sull’organizzazione urbana, sulle modalità di suddivisione del territorio di uno Stato viene a essere immediatamente collegata ai problemi sollevati dall’arte di governare. È, ad esempio, il problema che consiste nel trasformare lo spazio urbano in funzione dei compiti disciplinari della polizia, necessari a gestire e amministrare il consolidamento dei grandi stati dell’Europa moderna: igiene, salute, commerci. Si potrà così assistere alla scomposizione dello spazio rappresentato dalla città franca del Medioevo all’insegna della necessità di governare con ordine le dimensioni collettive della vita sociale (abbattere le mura, costruire nuove vie di comunicazione, erigere nuovi edifici e predisporli ad accogliere e regolare le attività urbane fondamentali). Foucault chiarisce come la nuova razionalità politica, che va sorgendo tra XVII e XVIII secolo, ponga all’organizzazione dello spazio un nuovo ordine di problemi legati a una serie di trasformazioni sociali che investono il funzionamento del potere.

È proprio illustrando come cambia il modo di concepire lo spazio nell’ambito della storia delle pratiche di governo che si apre il corso dedicato a Sicurezza, territorio, popolazione. La questione dello spazio offre infatti, al filosofo francese, la possibilità di illustrare i nuovi meccanismi di governo che egli definisce come «dispositivi di sicurezza» e che si affermano a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. Se il potere sovrano, agli inizi dell’epoca moderna, si interessava al territorio con l’obiettivo di uniformarlo giuridicamente e di stabilire i confini della propria regalità; se la disciplina, che sorge nel XVII secolo, si applica, come si è visto nel paragrafo precedente, sul corpo individuale; i dispositivi di sicurezza si caratterizzano, invece, per il fatto di assumere e prendere in carico i fenomeni collettivi della vita della popolazione nel loro carattere di naturalità (natalità, mortalità, salute, forza produttiva, ecc.)[30]. Nel corso della lezione inaugurale di Sicurezza, territorio, popolazione, Foucault si concentra quindi nel descrivere il diverso trattamento riservato allo spazio da parte delle tre modalità di esercizio del potere appena illustrate (sovranità, disciplina, sicurezza). Punto chiave dello svolgimento della lezione – ed esempio su cui focalizza la propria attenzione – è la città, ovvero il diverso modo di considerare il problema dello spazio urbano nell’ambito dei tre diversi sistemi di potere. Dal punto di vista della sovranità, secondo Foucault, il problema del territorio si pone nei termini della sua «capitalizzazione», ovvero di come organizzare lo spazio politico in modo tale che, a partire da un centro, rappresentato dalla capitale, l’istanza giuridico-legale del sovrano possa diramarsi con facilità all’interno del regno. Questione di confini, certamente, ma anche di legittimità e vigenza del “proprio” diritto, il cui centro propulsore deve essere ben riconoscibile e gerarchicamente collocato nella capitale. Nell’ottica della disciplina, invece, la città viene pensata sulla base del modello dell’accampamento militare, in modo da favorire il buon ordine della vita collettiva: l’esempio offerto dal trattamento della peste (l’organizzazione della quarantena e il controllo meticoloso delle vie e delle abitazioni) viene in questo caso a illustrare gli obiettivi della città disciplinare. Infine, nell’ambito dei dispositivi di sicurezza, secondo Foucault, la città viene a essere rifunzionalizzata, come testimoniano alcuni esempi significativi, intorno al problema della «circolazione»:

Si trattava di tracciare assi di attraversamento della città e vie larghe abbastanza da assicurare quattro funzioni. In primo luogo, l’igiene, l’aerazione, lo sgombero di tutte le sacche di miasmi nocivi nei quartieri troppo affollati. Funzione di igiene, dunque. In secondo luogo, garantire il commercio interno alla città. Terzo, collegare la rete di vie alle strade esterne, in maniera da facilitare l’arrivo o la partenza delle merci da o verso l’esterno. E infine permettere la sorveglianza dopo che la demolizione delle mura, resa necessaria dallo sviluppo economico, aveva reso impossibile la chiusura serale della città[31].

 

L’insorgere di questi problemi schiude le porte a un diverso modo di pensare l’organizzazione dello spazio urbano. Infatti, mentre l’attività disciplinare della polizia inquadrava il problema dello spazio urbano nell’ottica di favorire una penetrazione capillare dell’azione di governo in ogni ambito della vita collettiva, la nascita di un’arte di governo “liberale” pone il problema di governare un insieme di fenomeni aleatori, legati alla vita della popolazione, che non sono inquadrabili nei rigidi codici della disciplina veicolati dall’attività di polizia. Nel quadro delle modificazioni impresse all’arte di governare dall’insorgere dei problemi legati all’eccesso di governo e nella cornice generale di affermazione di una certa modalità “frugale” di pensare il suo esercizio (laissez faire), il problema dello spazio urbano viene quindi a essere completamente ripensato. L’emergere di problemi legati alla circolazione sempre più intensa delle merci e degli individui, la necessità di controllare fenomeni imprevedibili, come la salute, la malattia, il vigore e la forza fisica delle popolazioni, nonché le esigenze legate alla sicurezza dei beni, oltre all’imperativo di far interagire tali fattori con un quadro complessivo orientato dallo sviluppo economico, tutto questo insieme di dinamiche, insomma, apre alle forme liberali di organizzazione dello spazio all’insegna della sicurezza. Questo comporta, secondo Foucault, che lo spazio urbano viene a essere ripensato nell’ottica di

aprirsi a un avvenire non completamente controllato, né controllabile, non misurato, né misurabile. […] Credo in sostanza che si possa parlare di una tecnica legata al problema della sicurezza, cioè al problema della serie. Serie indefinita di elementi che accadono: numero di imbarcazioni che accostano, numero di carri che arrivano ecc. Serie indefinita di unità che si accumulano: numero di abitanti, case, ecc. La gestione di queste serie aperte, controllabili solo in base a una stima delle probabilità, è la caratteristica fondamentale del meccanismo di sicurezza[32].

 

Dovendo strutturare lo spazio «in funzione di serie di eventi o elementi possibili che occorre regolare in un quadro polivalente e trasformabile»[33], la sicurezza deve organizzare la vita collettiva in modo diverso dalla disciplina. È qui che fa la sua comparsa, secondo Foucault, la nozione di «ambiente», che dal campo della fisica newtoniana e della biologia di Lamarck, investe la nuova razionalità di governo del liberalismo nascente. Se è vero, come Foucault sottolinea, che gli architetti e i primi urbanisti del XVIII secolo non hanno impiegato la nozione di ambiente, è altrettanto vero che essi ne hanno messo all’opera la «struttura programmatica». Pianificare un ambiente all’insegna dei dispositivi di sicurezza vuol dire, infatti, concepire lo spazio urbano come una dimensione attraversata da flussi, da reti, da forme di comunicazione che non possono essere inquadrate in un rigido apparato disciplinare: elementi naturali, come fiumi, paludi, colline; insieme di elementi artificiali, come agglomerazioni di individui, di abitazioni, ecc. devono ora essere disposti in modo da riconoscere la loro relativa autonomia dall’azione di governo. Così posto, il problema dello spazio urbano, nel quadro dell’insorgere dei dispositivi della sicurezza, avrà una lunga storia nella progettazione delle città industriali tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, fino ad arrivare ai giorni nostri[34].

 

 

  1. L’eterotopia nella società digitale: crisi di un concetto e nuovi usi (con e oltre Foucault)

La problematica sollevata dai dispositivi di sicurezza sembra dover spingere a rimodulare il quadro analitico delle eterotopie. Che ne è, infatti, degli «spazi altri» nel contesto di affermazione dei dispositivi di sicurezza? Cosa accade alle eterotopie quando dalla società disciplinare si passa alla «società del controllo», dove i processi di sorveglianza e normalizzazione si diffondono capillarmente e dove si assiste alla «crisi generalizzata di tutti gli ambienti di internamento, carcere, ospedale, fabbrica, scuola, famiglia»[35]? Si tratta di una serie di interrogativi ai quali la ricerca di Foucault non offre risposte immediate per diverse ragioni. Non secondaria è quella cronologica: il filosofo francese muore, infatti, nel 1984, negli anni in cui le trasformazioni della società del controllo, per quanto intuibili sul piano tendenziale, erano ben lungi dall’aver dispiegato i loro effetti. Tuttavia, è evidente che con l’individuazione dei dispositivi di sicurezza come matrice generale delle nuove pratiche di governo liberali – e neoliberali – Foucault avesse in qualche modo offerto, tra le righe, il potenziale euristico per cogliere l’insorgere di nuove forme di eterotopia nella società post-disciplinare. La crisi delle eterotopie disciplinari nella società contemporanea lascia infatti aperta la questione relativa all’insorgere di nuovi e inediti spazi altri: in primo luogo, quelli virtuali, indicati dall’emergere delle tecnologie digitali, della «governamentalità algoritmica»[36] e della società dei big data. Si tratta, naturalmente, di questioni che in questa sede possono essere solo accennate e che richiederebbero una trattazione specifica, ma a cui è bene fare riferimento per illustrare, anche solo a titolo di esempio, gli usi contemporanei del concetto foucaultiano di eterotopia.

Ad esempio, può essere utile quantomeno accennare all’impiego del concetto di eterotopia per decifrare alcuni aspetti che riguardano la ridefinizione dello spazio nella società digitale. In primo luogo, attraverso la determinazione del cyberspazio come nuova dimensione eterotopica, che rende possibile la moltiplicazione e la proliferazione di spazi altri sul piano dei processi di virtualizzazione che investono la società contemporanea. Se, infatti, il virtuale è definito attraverso la dislocazione e la deterritorializzazione[37], è altrettanto vero che la spazialità senza corpo dei cyberspazi allude a una sostituzione della presenza organica e oggettuale con la loro «impronta digitale», che ridetermina in modo radicale la questione dello spazio, a partire, ad esempio, dagli schermi di tablet e smartphone, che rendono possibili esperienze immersive in luoghi e tempi alternativi a quelli della quotidianità. In questo senso, se il virtuale, come ha rilevato Pierre Levy, è certamente «fuori dal -ci» e la virtualizzazione può essere compresa in termini di «esodo», esso è, nondimeno, regolato dalla radicalizzazione di alcuni dei principi che Foucault ha indicato proprio per descrivere le eterotopie[38].

Ancora più interessante è l’intreccio tra la dimensione eterotopica degli spazi digitali e quella che investe gli spazi fisici delle città neoliberali, aprendo al superamento della percezione bidimensionale verso un apprendimento del «terzo spazio», caratterizzato dalla fluttuazione dei confini e dal costante attraversamento delle soglie percettive della spazialità, favorita dall’integrazione del digitale negli ambienti della vita quotidiana[39]. L’odierna progettazione delle digital cities, ad esempio, integra spazi fisici, mentali e sociali con la prospettiva di creare luoghi iperconnessi e aprire a inedite esperienze percettive dello spazio. È così che le «eterotopie virtuali» vengono oggi a innestarsi sulle «eterotopie reali», determinando nuove forme di investimento di potere sulle menti (oltre che sui corpi) e l’estrazione di informazioni e conoscenze sugli individui in tempo reale[40]. Non un nuovo panopticon, certamente, dal momento che si tratta di eterotopie senza centro, e dal momento che il diagramma generale all’interno del quale esse si inseriscono fa leva su una ragione di governo algoritmica, che si modula sulle ondulazioni fluttuanti dei comportamenti digitali. Sicuramente, tuttavia, tali eterotopie sono indicatrici dell’affermazione di nuovi dispositivi di potere e di nuovi apparati di cattura dei saperi, la cui decifrazione e la cui analisi sono il compito irrinunciabile di una critica all’altezza dei tempi.

[1] M. Foucault, Utopie. Eterotopie, Cronopio, Napoli 2006, p. 12.

[2] Ora in M. Foucault, Spazi altri, in Id., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, tr. it. Mimesis, Milano 2001, pp. 19-33. Una versione di poco precedente è quella pronunciata via radio su France Culture nel 1966, ora tr. it. in M. Foucault, Utopie. Eterotopie, cit.

[3] M. Foucault, Des espaces autres, in «Architecture, Mouvement, Continuité», 5, octobre 1984.

[4] In realtà, nella ricerca di Michel Foucault, il termine compare per la prima volta nella prefazione a Les mots et les choses (1966).

[5] Cfr., a titolo d’esempio, P. Hirst, Foucault and Architecture, in «A A Files», 26, Autumn 1993, pp. 52-60. In ambito storiografico, segnalo l’interessante utilizzo del concetto di eterotopia come chiave di lettura di alcuni esperimenti storici di polizia cristiana nel XVIII secolo, come nel caso della Real Colonia di San Leucio a Caserta. Il riferimento in questo caso è a G. Borrelli, Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana. Genealogie 1, Cronopio, Napoli 2017, pp. 289-294.

[6] M. Foucault, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 23.

[7] Foucault fa l’esempio del collegio o del servizio militare per i ragazzi, luoghi di iniziazione sessuale le cui manifestazioni dovevano avvenire lontano dalla famiglia; oppure del viaggio di nozze come proliferazione di eterotopie legate ai luoghi in cui compiere il primo atto sessuale (il treno, l’hotel). Cfr. M. Foucault, Spazi altri, cit.

[8] Ibid., pp. 25-26.

[9] Ibid., p. 29.

[10] Ibid., p. 30.

[11] Ibid.

[12] Ibid., p. 31.

[13] M. Foucault, Storia della follia nell’età classica (1961), tr. it. BUR, Milano 2002, p. 19.

[14] N. Sainte-Fare Garnot, L’Hôpital Général de Paris. Institution d'assistance, de police, ou de soins?, in «Histoire, économie et société», III, 4, 1984, pp. 535-542; anche L. Coccoli, Il governo dei poveri all’inizio dell’età moderna, Jouvence, Milano 2017.

[15] M. Foucault, Storia della follia, cit. p. 55.

[16] In questa prospettiva si situa la differenza tra Foucault e alcune delle tendenze che animavano la critica antipsichiatrica proprio in quegli anni, il cui riferimento principale è l’opera di E. Goffman, Asylums. Essays on the social situation of mental patients and other inmates, Anchor Books, Doubleday & Company, New York 1961.

[17] Il termine polizia, in questo contesto, rimanda al significato che esso assume nel corso del XVII secolo in Francia. La police indicava, infatti, un’attività regolamentare di buon governo propria dell’Antico Regime, che avvolge un insieme eterogeneo di aspetti della vita sociale. Su questo punto mi permetto di rinviare al mio Homines oeconomici. Per una storia delle arti di governo in età moderna, Aracne, Roma 2017.

[18] Cfr. H.L. Dreyfus, P. Rabinow, Michel Foucault: Beyond Structuralism and Ermeneutics, Routledge, Londra 1983.

[19] M. Foucault, Storia della follia, cit., p. 68.

[20] Ibid., p. 82.

[21] Ibid., p. 337.

[22] M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), tr. it. Einaudi, Torino 1993, p. 139.

[23] Ibid., p. 154.

[24] Ibid., p. 188.

[25] Ibid., p. 209.

[26] Ibid., p. 237.

[27] M. Foucault, Space, Knowledge and Power, in «Skyline», Marzo 1982, pp. 16-20; tr. it. Spazio, sapere e potere, in Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., pp. 53-72.

[28] Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), tr. it. Feltrinelli, Milano 2005.

[29] M. Foucault, Spazio, sapere e potere, cit., p. 53.

[30] Foucault chiarisce che il passaggio dalla sovranità, alla disciplina e, da questa, ai dispositivi di sicurezza non allude ad una rigida classificazione cronologica, come se la disciplina avesse soppiantato la sovranità e fosse stata a sua volta scalzata dalla sicurezza. Al contrario, per Foucault, le discontinuità tra queste tre diverse «tecnologie» di potere consistono nelle modalità particolari attraverso le quali esse si articolano l’una sull’altra all’interno di un diagramma generale che ne indica la razionalità dominante. Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit.

[31] Ibid., p. 27.

[32] Ibid., p. 29.

[33] Ibid.

[34] Si veda, ad esempio, l’indagine sulla città neoliberale condotta da G. Pinson e C. Morel Journel in Debating the Neoliberal City, Routledge, London & New York 2017.

[35] G. Deleuze, Poscritto sulle società del controllo, in Id., Pourparler, Quodlibet, Macerata 2000, pp. 234-241, p. 235.

[36] Cfr. A. Rouvroy, T. Berns, Gouvernementalité alghoritmique et perspectives d’émancipations, in «Reseaux», 1, 177, 2013, pp. 163-196.

[37] Cfr. P. Levy, Il virtuale (1995), tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 1997 e B. Stiegler, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro (2015), tr. it. Meltemi, Milano 2019.

[38] Cfr., ad esempio, R. Rymarczuk, M. Derksen, Different spaces: Exploring Facebook as heterotopia, in «First Monday», 19, 6, 2014, consultabile all’indirizzo https://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/5006/4091.

[39] Si vedano, ad esempio, i lavori di E. Soja, che impiega a più riprese il concetto foucaultiano di eterotopia per descrivere la nozione di Thirdspace. Cfr. Id., Thirdspace: Journeys to Los Angeles and Other Real-and-Imagined Places, Basil Blackwell, Oxford 1996; e Id., Postmetropolis: Critical Studies of Cities and Regions. Basil Blackwell, Oxford 2000.

[40] Questi processi sono stati magistralmente descritti, tra gli altri, da B. Stiegler, non solo ne La società automatica, cit., ma anche ne La miseria simbolica (2004), 2 voll., tr. it. Mimesis, Milano 2021-2022.

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