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Nota introduttiva a Ecologia e Rivoluzione di Herbert Marcuse

Autore


Luca Mandara


1. L’ecologia come politica
2. L’ecologia come utopia concreta
3. Il “metodo ecologico” marcusiano

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S&F_n. 31_2024

Abstract


Introductive notes on "Ecology and Revolution" by Herbert Marcuse

It is presented here the first Italian translation of Ecology and Revolution, a discourse held by Herbert Marcuse in Paris, in June 1972, during a round table with other important intellectuals. The critical theorist shows the anti-ecological logic of the capitalist development and reflects on the possibility of the newly born environmental movement to face against it. In particular, he highlights the subjective sides of such existential revolt, rooted in the vital impulse of Eros and satisfiable only into a post-capitalist eco-aesthetic society.

 

Non è semplicemente un’idea romantica, poetica,

che interessa solo alcuni privilegiati;
oggi è una questione di sopravvivenza
(H. Marcuse, Ecologia e Rivoluzione)

 

 

1. L’ecologia come politica

Era un martedì sera, il 13 giugno 1972 e oltre 3000 persone gremivano il Centre Parisien des Congrès Internationaux per assistere, intorno alle ore 20.00, al dibattito su Revolution Ecologique et Croissance Economique, che si sarebbe svolto tra Herbert Marcuse, «una delle tre “emme” dell’“immaginazione al potere”»[1], André Gorz – ai natali Gerhart Hirsch – Edgar Morin, Sicco Mansholt, Edmond Maire, Edward Goldsmith e Philippe Saint-Marc.

Erano, dunque, i primi anni Settanta; periodo in cui – è noto – la consapevolezza dell’insostenibilità ambientale legata a quel “paradigma della crescita” su cui convergevano Est e Ovest stava penetrando sempre più, per dirla con Marcuse, «la coscienza delle persone, persino ai livelli consci e inconsci delle loro menti manipolate e indottrinate»[2]. Non è un caso che circa 20 milioni di individui avevano marciato, il 22 aprile 1970, in occasione del primo Earth Day, ben presagendo quel che, di lì a poco, avrebbe rivelato il famigerato Rapporto Meadows, tingendo di grigio il radioso progresso nell’uso di risorse naturali ormai in rapido esaurimento[3].

In tutta evidenza, la posta in gioco era alta. Per chi discuteva quel giorno a Parigi – come, del resto, per chi ancora oggi si batte per la giustizia climatica – occorreva provare a immaginare un nuovo «tipo di società», in grado di orientarsi verso il duplice obiettivo di «ridurre l’inquinamento ed elevare gli standard di vita della popolazione più povera»[4], anche al costo, almeno per i paesi più sviluppati, di una decroissance; termine, lo si dica per inciso, usato per la prima volta da Gorz proprio all’occasione del “nostro” dibattito[5].

Come che sia, fu sicuramente per tramite di quest’ultimo, membro e fondatore del Club du Nouvel Observatour organizzatore dell’evento, che Marcuse vi prese parte, con l’intervento che il lettore potrà trovare, nelle pagine seguenti, tradotto in italiano.

Certo, non era affatto la prima volta che i due s’incontravano; da tempo, infatti, con Serge Mallet, amavano discutere tra di loro su questioni come, ad esempio, l’autogestione operaia.

Decisamente più costante fu, tuttavia, il confronto sulle tematiche ecologiche, che si svolse attraverso un dialogo serrato, di cui non è per niente facile ricostruire l’intreccio. Secondo alcuni, infatti, l’ecologia politica gorziana potrebbe essere letta come una risposta «al tentativo di Marcuse di teorizzare una riconciliazione tra uomo e natura» in una società diversa dai «modelli di sviluppo socialisti e capitalisti»[6]: non è forse un caso, del resto, che fu proprio al francofortese che egli chiese «qualche commento» in merito a quell’«utopia post-capitalista e post-industriale» in grado di «eccitare l’immaginazione sovversiva»[7], con cui chiudeva il suo Écologie et liberté. D’altro canto, non si può tralasciare come Marcuse, a sua volta, fu debitore della teoria della crisi di riproduzione delle condizioni naturali del capitale causata dall’iper-sfruttamento che, in primis, fu il pensatore di origine austriaca ad elaborare; ne è chiara riprova, a riguardo, la presenza, nell’intervento che qui proponiamo, di un riferimento diretto a «Michel Bosquet», pseudonimo con cui Gorz firmava i suoi articoli da giornalista[8].

In ogni caso, al di là dei reciproci e benefici scambi, resta fermo che Marcuse condivideva pienamente, avendola già elaborata in precedenti lavori come Uomo a una dimensione, l’idea politica di fondo che animava l’ecologia critica di Gorz. In particolare, egli aveva notato come la «contraddizione assoluta» del «capitalismo monopolistico» contemporaneo è quella tra progresso e distruzione: per un verso, lo «spreco di risorse produttive all’interno della metropoli imperialista» mediante l’obsolescenza pianificata, il consumo indotto a suon di martellante e onnipresente pubblicità, l’espansione esponenziale di servizi commerciali e finanziari e, per altro verso, lo «spreco crudele di forze distruttive e il consumo di merci di morte prodotte dall’industria militare»[9], che annichila fisicamente esseri umani e risorse naturali all’estero, non sono affatto accidenti ma – spiegava il filosofo – necessità immanenti ad un sistema costretto a generare mancanze artificiali per richiedere un nuovo sfruttamento della forza lavoro, fonte unica di plusvalore, nonostante l’elevata produttività permetterebbe di abolirlo.

In questa direzione, e a suo modo di vedere, la sintesi più perversa della contraddizione «tra ricchezza sociale e il suo uso distruttivo» è la «guerra “ecocida”»[10] con cui il capitalismo americano più avanzato combatte una «guerra genocida» contro quei popoli che osano sfidarne la «controrivoluzione globale»: le bombe a Napalm, negando l’esistenza anche a chi «non è ancora nato», devono prevenire una «liberazione ecologica rivoluzionaria» che cerca nella «riabilitazione della Terra» la conditio sine qua non del proprio sviluppo autonomo futuro.

Così, ribadito come nel «contesto del capitalismo» non sia possibile né «salvare la Terra» né sviluppare il «Terzo Mondo», al termine del suo intervento, Marcuse rintraccia l’autenticità dell’ecologismo nel farsi «lotta militante socialista che attacchi il sistema alle sue radici». È chiaro – lo si dica per inciso – che, nell’ottica di un tale intreccio tra accumulazione allargata di capitale, guerre neo-coloniali e devastazione ambientale, occorrerebbe ampliare il classico problema marxista del chi detiene la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione in direzione tanto della domanda sul che cosa una società socialista debba produrre quanto della possibile realizzazione di un «progresso senza crescita»[11]; se si vuole, di una «crescita zero» o, in ogni caso, di una riduzione della produzione al momento-limite «in cui la tecnica prodotta» possa essere maneggiata da «tutti quelli che ci si confrontano».

Come che sia, è senza dubbio nell’orizzonte di un reciproco ripensamento politico, capace di investire tanto la teoria e la pratica socialista quanto lo stesso movimento ecologico – ripensamento sposato, per altro, da una parte della New Left europea e statunitense – che Marcuse giunse all’incontro parigino, pienamente convinto della «centralità dell’ecologia nella lotta rivoluzionaria», data la presenza, all’interno del più ampio «movimento mainstream», di «approcci ecologici radicali», «anti-capitalisti e anti-imperialisti»[12]. Di questi, in particolare, egli aveva già apprezzato i diversi tentativi di saldare i temi ambientali a quelli sociali; si pensi, ad esempio, all’ammirazione sia per i lavori teoretici dell’anarchico Morray Bookchin[13], sia per tutte le azioni pratiche in cui emergeva l’«esplosione della sensibilità nell’azione politica»: dalla difesa del «People’s Park a Berkeley»[14] contro nuove cementificazioni, fino al movimento antinucleare tedesco e americano in cui era forte la componente femminista conosciuta per il tramite dell’allieva Angela Davies e delle attività delle Radical Women, molto attive nella mobilitazione contro la guerra in Vietnam.

C’è da dire, però, che non sempre la sintesi riusciva. Lo ricorda, tra i vari, uno scambio di lettere avuto con Rudi Dutschke nel quale, ricordando l’occasione di un’assemblea tenutasi a sostegno di Rudolph Bahro, futuro membro dei Verdi, l’ex leader del movimento studentesco tedesco si rammarica di come «l’SPD e la FDP» fossero riuscite «a prendere in mano l’esordio del movimento anti-atomico» imponendogli una direzione e portando avanti, almeno per il momento, «il “declino” del movimento sociale»; mentre l’anziano pensatore notava che, invece, la lotta antinucleare negli Stati Uniti costituiva una delle «sporadiche eccezioni»[15] di un’opposizione che su altri temi sembrava invece declinare.

Ma non solo. Su un altro versante, Marcuse non dimenticava nemmeno le malìe di una falsa «ecologia capitalistica»[16]. Già prima dell’intervento del 1972, infatti, aveva denunciato un best-seller dell’epoca, The Greening of America di Charles Reitz, bollandolo come la «versione dell’establishment della grande ribellione»[17]: le posizioni dell’autore, rivolte a ridurre la questione ambientale a una scelta morale di responsabilità individuale, mostravano chiaramente, a suo modo di vedere, una forte dose di ingenuità, se non di complicità con il sistema, incapaci com’erano di dire una parola sulle questioni politiche del chi impedisse o favorisse un rapporto più armonico con la natura, del come organizzare una ribellione efficace e attraverso quali strumenti farlo.

Non sembrano dunque esserci dubbi. Tornando ripetutamente a denunciare la cooptazione del movimento ecologista, il suo coinvolgimento in campagne pubblicitarie e riforme locali che, se da un lato alimentavano involontariamente i bisogni di libertà e pacificazione che il sistema tendeva a sopprimere, dall’altro lato lo restringevano, canalizzandolo in percorsi più governabili, Marcuse ritiene indispensabile imboccare un’altra strada e ribadendo che il potenziale e il compito politico dell’ecologismo afferma, senza mezzi termini, ch’esso deve diventare il nuovo «becchino del capitalismo»[18].

 

2. L’ecologia come utopia concreta

Non c’è dubbio: le analisi e le diagnosi di Marcuse, non in ultimo l’accenno al greenwashing capitalistico, sono state via via sempre più condivise dal movimento per la giustizia climatica e dall’ecologia politica contemporanea, non solo nelle sue varianti eco-marxiste[19].

A mio modo di vedere, però, v’è qualcosa delle sue riflessioni che, ad oggi, continua ad essere trascurato: trattasi dell’importanza da lui attribuita ai risvolti soggettivi e interni dei processi oggettivi di distruzione della natura esterna – umana ed extra-umana. Non è una questione di poco conto, almeno nella misura in cui tale seconda direzione della riflessione del francofortese può ispirare, se non un altro sbocco dell’ecologismo alternativo a quello politico socialista, senz’altro un ampliamento della sua “anima”.

Ancorché brevemente, proviamo dunque a dare alcuni cenni relativamente a quest’altra “piega” dell’ecologia marcusiana che, figlia non solo di Marx, ma anche di Freud e della critica francofortese, ha sempre ben presente come quella umana sia la prima corporeità che il capitalismo ha dovuto trasformare in uno «strumento di lavoro», non solo nel senso dell’addestramento tecnico, ma anche in quello dell’«assoggettamento del principio di piacere al principio di realtà»[20]. Trattasi, lo si comprende, di una «trasformazione brutale e dolorosa» che, ottenuta anche attraverso strumenti di «civilizzazione»[21] apparentemente liberi e neutrali quali il mercato, non implicano, avvisa il francofortese, un movimento semplicemente economico ma anche una politica di dominio che, a sua volta, si fa vieppiù totalitaria, diretta com’è ad assoggettare tutta la natura esterna per mezzo del lavoro alienato – come strumento di produzione –  e, insieme, del consumo alienato – come oggetto di leisure.

Ne deriva, prosegue il filosofo, quel che si può definire un vero e proprio annientamento degli ultimi luoghi in cui può trovare nutrimento Eros, cioè quella pulsione di vita che, insieme, è emblema di un genere di esperienze e valori alternativi alla dimensione della competizione, dell’utile e del profitto, subita e inconsapevolmente riprodotta dagli individui nelle loro pratiche di vita quotidiane; come a dire che all’uomo altro non resta che assuefarsi, soffocando il suo bisogno di libertà dal profitto e reprimendo il desiderio di vivere una vita qualitativamente diversa, all’insegna della bellezza, della pacificazione e dell’armonia con la natura non-umana.

Di più. Come ben ricorda Freud, una volta indebolito Eros, non restano che pochi freni interni all’insorgere di Thanatos, regressiva pulsione di morte, il cui predominio aggrava – e in parte spiega – la crescente distruttività di alcune delle nostre forme di vita: il consumismo smodato, l’odio per una qualunque Alterità che, mediante un’accorta propaganda, viene presentata come un Nemico della civiltà; la sempre più crescente aggressività delle democrazie.

Tuttavia, il ragionamento di Marcuse – è noto – non cede affatto a una qualche forma di rassegnazione; al contrario: ricordandoci che la natura – sia quella esterna sia quella interna all’uomo – lungi dall’essere un’entità statica e data una volta per tutte, muta di senso e significato a seconda dello sviluppo storico, egli vuole metterci in guardia dal compiere un semplicistico gesto di identificazione tra la dinamica naturale e il divenire sociale.

Un’altra, ben diversa visione, ne deriva.  Si pensi, ad esempio, alla concezione kantiana che fa della natura un “soggetto” senza scopo: più che mera premessa della libertà, in questa prospettiva, la dimensione naturale indica piuttosto l’«impenetrabile resistenza della materia: la natura non è una manifestazione dello “spirito”, ma piuttosto il suo limite fondamentale»[22]; qualcosa in grado, nella sua cecità,  spiega in Controrivoluzione e rivolta, di essere alleata tanto «della rivoluzione» ed in attesa, come l’umanità, della sua «liberazione», quanto di «essere ostile» e in lotta contro l’uomo, perché «offesa» dal suo insopprimibile bisogno di appropriazione[23].

Se dunque è vero che l’atavico antagonismo filosofico tra natura e cultura riflette la determinata guerra scatenata dal capitalismo «contro la natura – la natura umana e la natura esterna», altrettanto vero è che questa lotta va ormai ben oltre i tradizionali confini del conflitto tra capitale e lavoro e mette a rischio la tenuta della civiltà in generale. Detto in altri termini: se «la storia è anche radicata nella natura», allora «l’inesorabile intreccio di gioia e dolore, esaltazione e disperazione, Eros e Thanatos, non può essere dissolto nei problemi di lotta di classe. E la teoria marxista è la meno giustificata a ignorare il metabolismo tra esseri umani e la natura, e a denunciare come concezione ideologica regressiva l’insistenza su questo humus naturale della società»[24].

Al cospetto di una tale diversa prospettiva, che osserva la liberazione dal punto di vista di una tragicità tutta immanente alla natura umana, la visione ecologica di Marcuse si fa più radicale e utopica; senz’altro non chiusa su un univoco sbocco politico di matrice socialista. A suo modo di vedere, infatti, occorre immaginare altri percorsi e altre forme di emancipazione: potremmo chiamarli esperienze “prefigurative” o, per dirla con le parole di Ecologia e critica della società moderna, «sperimentazioni sovversive […] non alienate tra i sessi, tra le generazioni, tra l’uomo e la natura».

Nel 1979, pensando all’esperienza delle “comuni americane”, il filosofo le distingueva chiaramente dalla lotta di classe tradizionale, battezzandole «rivolte esistenziali»[25] la cui origine pulsionale era direttamente proporzionale all’estrema radicalità degli obiettivi. Certo, proseguiva, isolate com’erano dalle masse, esse mostravano senza dubbio una qualche dose d’«impotenza» politica che, tuttavia, concludeva, lungi dall’essere un tratto semplicemente negativo doveva essere letta piuttosto come il «segno» dell’«autenticità» della loro «utopia concreta»: quella «qualità iniziale di gruppi e individui che hanno sostenuto diritti e obiettivi propri dell’uomo, al di là dei cosiddetti obiettivi realistici»[26].

 

3. Il “metodo ecologico” marcusiano

Ancora una volta, non sembrano esserci dubbi. Come in altri snodi teoretici della sua riflessione, anche in “materia ecologica” Marcuse ci consegna l’indicazione di un metodo bidimensionale, in grado di cogliere i punti di distinzione tra due piani senza per questo cercare a tutti i costi una mono-dimensionalità che, sovrapponendoli, ridurrebbe l’utopia a utopismo e la prassi a Realpolitik. Così, lo si è visto, egli ragiona e mantiene volutamente la differenza tra un intento più strettamente politico e uno più ampiamente utopico, convinto com’è che le pratiche hanno valore sociale non solo quando smettono di mirare a realizzare il «Paradiso» sforzandosi di confrontarsi con la «realtà data che sta lì»[27], ma anche laddove – e se – si mostrano capaci di essere prefigurative, estraniandosi dall’immediatezza, per presentare un’«idea regolativa della ragione»; quando, in altre parole, sanno essere memoria di quel possibile che c’è oltre il reale e, con ciò, ricordo di un compito la cui inesauribilità impegna la prassi in una «rivoluzione permanente».

Verrebbe da domandarsi se una posizione di tal fatta non presenti un’intrinseca ambiguità che costringe l’ecologismo a oscillare in modo sterile tra psicologico e politico, soggettivo e oggettivo. In questa direzione, ha ragione Pellizzoni quando sostiene l’urgenza di rispondere alla questione «se, fino a che punto e in che modo si possa attuare una convergenza tra i due tipi di mobilitazione, nel senso di una coniugazione efficace tra politica della protesta e politica prefigurativa»[28].

È una questione decisamente aperta che, tutta da discutere, può forse trarre giovamento dal confronto con le due diverse anime del pensiero marcusiano che, anche in questo breve scritto, ho provato a far emergere.

Del resto, da più parti se ne sente il bisogno. Quando, infatti, nella società aumentano la distruzione e la violenza e si ripete il pericolo mitico che dal brivido nasca solo (eco)angoscia e, con essa, una nuova “paranoia della ragione” pronta a giustificarne il dominio, allora, forse, il monito del francofortese di riconoscere alla natura e alla sua alterità la dura, impenetrabile consistenza di una realtà irriducibile ai nostri soli scopi, la sua richiesta di restituirle quella dimensione «di bellezza, di tranquillità e ordine non repressivo», che essa pure rappresenta, possono assumere un senso. Trattasi infatti di un primo, preliminare, suggerimento, volto a sintonizzare le nostre riflessioni «verso la ricerca di un ambiente naturale e tecnico radicalmente diverso»[29] in direzione di una prassi in grado di «dipendere ancora dalla teoria […]: dall’educazione, dalla persuasione – dalla Ragione»[30].

 

 

 

Ecologia e Rivoluzione[31]

di Herbert Marcuse

Venendo dagli Stati Uniti, mi sento un po’ a disagio a parlare del movimento ecologico, che lì è stato in larga misura cooptato. Oggi, tra i gruppi militanti statunitensi, in particolare tra i giovani, mi pare che l’obiettivo principale[32] sia combattere con tutti i mezzi a disposizione (mezzi fortemente limitati) i crimini di guerra commessi contro il popolo vietnamita. Il movimento studentesco, che si diceva morto o agonizzante, cinico e apatico, sta rinascendo in tutto il paese. Non si tratta di un’opposizione organizzata – ma di un movimento spontaneo che si organizza come meglio può, provvisoriamente, a livello locale[33]. La rivolta contro la guerra in Indocina è l’unico movimento di opposizione che il sistema non riesce a cooptare, perché la guerra neo-coloniale è parte integrante di quella controrivoluzione globale che è la forma più avanzata del capitalismo monopolistico.

Perché allora occuparsi di ecologia? Perché la violazione della terra è un aspetto essenziale di questa controrivoluzione[34]. La guerra genocida contro i popoli è al tempo stesso una guerra “ecocida” (guerre terracide) nella misura in cui attacca le fonti e le risorse della vita stessa[35]. Non basta più farla finita con le persone che vivono oggi; la vita deve essere negata anche a coloro che non sono ancora nati – bruciando e avvelenando la terra[36], defogliando le foreste[37], facendo saltare in aria le dighe. Questa follia sanguinaria non altererà il decorso finale della guerra[38], ma esprime molto bene lo stato del capitalismo contemporaneo: lo spreco di risorse produttive all’interno della metropoli imperialista va di pari passo con lo spreco crudele di forze distruttive e il consumo di merci di morte prodotte dall’industria militare[39].

Nel caso specifico, il genocidio e l’ecocidio in Indocina sono la risposta capitalistica al tentativo di una liberazione ecologica rivoluzionaria: le bombe hanno lo scopo di prevenire la riabilitazione sociale ed economica della terra intrapresa dal popolo del Vietnam del Nord. Tuttavia, il capitalismo monopolistico è sceso in guerra contro la natura – la natura umana e la natura esterna – in un senso più generale. L’esigenza di uno sfruttamento sempre più intenso si scontra con la natura in quanto tale, nella misura in cui la natura è la fonte e il locus delle pulsioni di vita che lottano contro le pulsioni all’aggressività e alla distruzione. La necessità dello sfruttamento riduce ed esaurisce progressivamente le risorse: quanto più cresce la produttività capitalistica, tanto più diventa distruttiva. È una delle manifestazioni delle contraddizioni interne del capitalismo.

Una delle funzioni essenziali della civilizzazione è stata quella di trasformare la natura dell’uomo e del suo ambiente naturale al fine di “civilizzarlo” – ovvero, di renderlo il soggetto-oggetto della società di mercato[40], assoggettando il principio di piacere al principio di realtà e trasformando l’uomo in uno strumento di un lavoro sempre più alienato. Questa trasformazione brutale e dolorosa ha intaccato la natura esterna molto gradualmente. Ovviamente, la natura è sempre stata un aspetto (a lungo l’unico) del lavoro. Ma era anche una dimensione al di là del lavoro, un simbolo di bellezza, di tranquillità, di un ordine non repressivo. Grazie a questi valori, la natura rappresentava[41] la negazione stessa della società di mercato[42] e dei suoi valori, il profitto e l’utilità.

Tuttavia, il mondo naturale è un mondo storico, un mondo sociale. La natura può essere la negazione di una società violenta e aggressiva, ma la sua pacificazione è opera dell’uomo (e della donna), il frutto della sua produttività. Ma la struttura della produttività capitalistica è intrinsecamente espansionistica: riduce progressivamente gli ultimi spazi naturali rimasti al di fuori del mondo del lavoro e del tempo libero (loisir) manipolato e organizzato.

Il processo che assoggetta la natura alla violenza dello sfruttamento e dell’inquinamento è innanzitutto un processo economico (un aspetto del modo di produzione), ma è allo stesso tempo un processo politico[43]. Il potere del capitale si espande sulla natura come spazio di evasione e liberazione. Questa è la tendenza totalitaria del capitalismo monopolistico: nella natura l’individuo deve trovare solo una ripetizione della sua società; si deve chiudere l’accesso ad una pericolosa dimensione di evasione e di contestazione.

Allo stadio attuale di sviluppo, la contraddizione assoluta tra ricchezza sociale e il suo uso distruttivo sta incominciando a penetrare la coscienza delle persone, persino ai livelli consci e inconsci delle loro menti manipolate e indottrinate. Si sente, si sa, che non è più necessario esistere come strumento di un lavoro e di un tempo libero alienati[44]. Si sente e si sa che il benessere non dipende più dalla crescita infinita della produzione. La rivolta dei giovani[45] (studenti, lavoratori, donne) fatta in nome dei valori della libertà e della felicità, è il rovesciamento di tutti i valori[46] che governano il sistema capitalistico[47]. E questa rivolta si orienta verso la ricerca di un ambiente naturale e tecnico radicalmente diverso; questa prospettiva è diventata la base per sperimentazioni sovversive, come i tentativi delle “comuni” negli Stati Uniti di instaurare relazioni non alienate tra i sessi, tra le generazioni, tra l’uomo e la natura – tentativi finalizzati a sostenere la coscienza del rifiuto e del rinnovamento.

In questo senso squisitamente politico, il movimento ecologico sta attaccando lo “spazio vitale” del capitalismo, l’espansione del regno del profitto, dello spreco produttivo (gaspillage productif). Tuttavia, la lotta contro l’inquinamento viene facilmente cooptata. Oggi è difficile trovare un annuncio pubblicitario che non ti esorta a “salvare l’ambiente”, a smetterla con l’inquinamento e l’avvelenamento. Vengono create tante commissioni per controllare i colpevoli. È chiaro che il movimento ecologico può servire benissimo ad abbellire l’establishment, renderlo più piacevole, meno squallido, più salubre e quindi più sopportabile. Si tratta certamente di una sorta di cooptazione, ma ha anche un elemento progressivo poiché, nel corso di questa cooptazione, un certo numero di bisogni e desideri cominciano ad essere espressi all’interno del cuore del capitalismo e un cambiamento sta prendendo piede nel comportamento delle persone, nella loro esperienza, nella loro attitudine al lavoro. Esigenze economiche e tecniche vengono superate[48] in un movimento di rivolta che sfida il modo di produzione e il modello di consumo in quanto tali.

La lotta ecologica entra sempre più in conflitto con le leggi che governano il sistema capitalistico: la legge dell’accumulazione allargata di capitale, della creazione di un plusvalore adeguato, del profitto, della necessità di perpetuare lo sfruttamento e il lavoro alienato. Michel Bosquet ha posto la questione benissimo: la logica ecologica è la negazione pura e semplice della logica capitalistica; la terra non può essere salvata nel contesto del capitalismo; il Terzo Mondo non si può sviluppare secondo il modello del capitalismo.

In ultima analisi, la lotta per l’espansione di un mondo di bellezza, di non-violenza e di serenità, è una lotta politica[49]. L’insistenza su questi valori, sul risanamento (restoration) della terra come ambiente umano, non è semplicemente un’idea romantica, poetica, che interessa solo dei privilegiati[50]; oggi[51] è una questione di sopravvivenza. Le persone devono imparare da sole che è necessario cambiare il modello di produzione e consumo, abbandonare l’industria della guerra, dello spreco e dei gadgets, e sostituirlo con la produzione di quei beni e servizi che sono necessari ad una vita in cui il lavoro è ridotto, è creativo, una vita di godimento.

L’obiettivo è, come sempre, il benessere; ma un benessere che non si definisce nei termini di un consumo sempre più grande al prezzo di un lavoro sempre più intenso, ma nella realizzazione di una vita liberata dalla paura, dalla schiavitù del salario, dalla violenza, dal fetore e dal rumore infernale del nostro mondo capitalistico industriale. Non si tratta di rendere bello l’abominio, di nascondere la miseria, di deodorare il fetore, di abbellire con i fiori le carceri, le banche, le fabbriche; il punto non è purificare la società esistente, ma rimpiazzarla.

L’inquinamento e l’avvelenamento sono fenomeni tanto mentali quanto fisici, soggettivi così come oggettivi. La lotta per un ambiente che assicuri una vita più felice può rinforzare, all’interno degli stessi individui, le radici pulsionali della loro liberazione[52]. Quando le persone non sono più capaci di distinguere tra bello e brutto, tra serenità e cacofonia, non sono più capaci di capire una qualità essenziale della libertà, della felicità. Nella misura in cui è diventata territorio del capitale piuttosto che dell’uomo, la natura serve a rafforzare l’asservimento dell’uomo[53]. Queste condizioni sono radicate nelle istituzioni fondamentali del sistema costituito per il quale la natura è innanzitutto un oggetto di sfruttamento per il profitto.

Questo è il limite interno e insuperabile di qualsiasi ecologia capitalistica. L’ecologia autentica sfocia in una lotta militante per una politica socialista che deve attaccare il sistema alle sue radici, sia nel processo di produzione, sia nella coscienza mutilata degli individui.

 

Ringraziamenti: Si ringrazia la famiglia Marcuse e il prof. Peter-Erwin Jansen per la concessione dei diritti di traduzione.


[1] R. Rossanda, Volti di un secolo. Il Novecento in 52 ritratti, Einaudi, Torino 2023, p. 52.

[2] Infra, p. 277.

[3] D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers, W.W. Behrens II, The Limits to Growth, Universe Books, New York 1972.

[4] S. Mansholt, Sicco Mansholt replies, in H. Marcuse, 1970s Interventions. Ecology and Revolution, in Id., The New Left and the 1960s. Collected Papers, vol. III, ed. by D. Kellner, Routledge, London-New York 2005, p. 176. Sul movimento per la giustizia climatica, cfr. P. Imperatore, E. Leonardi, L’era della giustizia climatica. Prospettive politiche per una transizione ecologica dal basso, Orthotes, Napoli 2023.

[5] Cfr. l’Introduzione di G. D’Alisa, F. Demaria, G. Kallis (a cura di), Decrescita: vocabolario per una nuova era, Jaca Book, Milano 2018.

[6] D. Kellner, C. Pierce, T. Lewis, Herbert Marcuse, Philosophy, Psichoanalysis and Emancipation, in H. Marcuse, Philosophy, Psichoanalysis and Emancipation. Collected Papers, vol. V, ed. by D. Kellner, Routledge, London-New York 2011, p. 72. Sul dialogo critico tra Marcuse e Gorz in tema di ecologia, cfr. C. Fourel, C. Ruault, Écologie et révolution, pacifier l'existence: André Gorz-Herbert Marcuse, un dialogue critique, Les Petits Matins, Paris 2022. Sull’ecologia politica di Gorz, cfr. l’accurata introduzione di E. Leonardi, L’ecologia politica di André Gorz, in A. Gorz, Ecologia e libertà (1977), tr. it. Orthotes, Napoli 2015, pp. 9-25 e E. Leonardi, M. Benegiamo, André Gorz’s Labour-Based Political Ecology and Its Legacy for the Twenty-First Century, in N. Räthzel et. al. (ed. by), The Palgrave Handbook of Environmental Labour Studies, Palgrave, London 2021, pp. 721-741.

[7] H. Marcuse, UBA Ffm Bestand Na 3 496, Herbert Marcuse Archiv, Universitätsbibliothek J.C. Senckenburg, Goethe Universität, Frankfurt am Mein.

[8] Cfr. infra, p. 278: «Michel Bosquet ha posto la questione benissimo: la logica ecologica è la negazione pura e semplice della logica capitalistica».

[9] Infra, p. 275.

[10] Infra, pp. 277, 275.

[11] H. Marcuse, Pensare l'emancipazione. Conversazione con gli studenti della Sozialistische Hochschulinitiative, in Id., Oltre l’uomo a una dimensione. Scritti e interventi di Herbert Marcuse, vol. I, a cura di R. Laudani, Manifestolibri, Roma 2005, p. 276 e p. 300.

[12] R. Kahn, The Educative Potential of Ecological Militancy in an Age of Big Oil: towards a Marcusean Ecopedagogy, in «Policy Futures in Education», 4, 1, 2006, p. 34. L’autore si riferisce all’incendio da parte degli universitari di Santa Barbara, con cui Marcuse era già in contatto, della sede locale della Bank of America, azionista della Union Oil Company colpevole di sversamenti di petrolio nella baia di Isla Vista nel 1969.

[13] H. Marcuse, Counterrevolution and Revolt, Beacon Press, Boston 1972, p. 61 e ss. (la traduzione del testo è mia, qui e altrove). Sulla possibilità di creare ponti, tramite la teoria di Marcuse, tra la Social-Ecology del pensatore anarchico e le pratiche più soggettive della Deep-Ecology da lui contestate, cfr. A. Light, Marcuse, Ecology and Environmentalism, in J. Abromeit, W.M. Cobb (ed. by), Herbert Marcuse. A critical Reader, Routledge, London-New York 2004, pp. 227-235, in part. pp. 231-235. Si veda anche S. Brincat, D. Gerber, The Necessity of Dialectical Naturalism: Marcuse, Bookchin, and Dialectics in the Midst of Ecological Crises, in «Antipode», 47, 4, 2015, pp. 871-893.

[14] H. Marcuse, Counterrevolution and Revolt, op. cit., p. 72, n. 1.

[15] H. Marcuse, R. Dutschke, Carteggio con Rudi Dutschke, in H. Marcuse, Oltre l’uomo a una dimensione, op. cit., p. 358 e p. 353. In H. Marcuse, UBA, Ffm, Bestand, N. 3, 991, Herbert Marcuse Archiv, op. cit., è conservato l’articolo Seabrook: Toward democratic control del settimanale In these times, May, 18th-24th, 1977, sulle proteste contro l’installazione di un impianto nucleare a Seabrook, nel New Hampshire. Nel già citato incontro con gli studenti del Sozialistische Hochschuliniziative, Marcuse parla del famoso incidente all’impianto nucleare di Harrisburg, in Pennsylvania. Cfr., in proposito H. Marcuse, Ecologia e critica della società moderna, in Id., Marxismo e Nuova Sinistra. Scritti e interventi di Herbert Marcuse, vol. II, a cura di R. Laudani, Manifestolibri, Roma 2007, p. 167, dove il filosofo ricorda le proteste contro la decisione della Corte Suprema di annullare una moratoria dello Stato della California sulle installazioni nucleari prive di mezzi adeguati al trattamento delle scorie.

[16] Infra, p. 279.

[17] H. Marcuse, Charles Reich as Revolutionary Ostrich, in P. Nobile (ed. by), The Con III Controversy: The Critics Look at The Greening of America, Pocket Books, New York 1971, p. 17 (la traduzione è mia). L’idea della conciliabilità tra finanziamenti pubblici, progetti ambientali e accumulazione di capitale privato nel nuovo mercato “verde” (all’epoca centrato sulla bonifica, la conservazione delle aree non-protette, la ricerca di combustibili o motori meno impattanti), fu lanciata già nel 1964 dal Presidente Lyndon Johnson nel programma della Great Society – criticato da H. Marcuse, L’Individuo nella Grande Società, in Id., La società tecnologica avanzata. Scritti e interventi di Herbert Marcuse, vol. III, a cura di R. Laudani, Manifestolibri, Roma 2008, pp. 181-204 – e riproposta dal Presidente Richard Nixon nel 1970 in un famoso discorso sullo stato dell’unione, per il quale rimando a D. Paccino, L’imbroglio ecologico. L’ideologia della natura, OmbreCorte, Verona 2021, pp. 91-93.

[18] H. Marcuse, Il significato globale della protesta e le possibilità attuali del movimento, in Id., Oltre l’uomo a una dimensione, op. cit., p. 287.

[19] Secondo G. B. Foster, P. Burkett, Marx and the Earth. An Anti-Critique. Brill, Leiden-Boston 2016, p. 2, Marcuse fu tra i primi «pensatori socialisti» ad attingere al pensiero di Marx per elaborare una «critica ecologica del capitalismo». Cfr. anche K. Saito, Marx in the Anthropocene. Toward the Idea of Degrowth Communism, Cambridge University Press, Cambridge 2023, pp. 4-8. Anche commentatori non marxisti hanno riconosciuto il precoce ecologismo di Marcuse; penso ad esempio a C. Merchant, autrice di The Death of Nature nella sua Introduction in C. Merchant (ed. by), Ecology: Key Concepts in Critical Theory, Humanity Books, New York 2008, p. 19. Sull’ecologia politica, cfr. L. Pellizzoni (a cura di), Introduzione all’ecologia politica, Il Mulino, Bologna 2023.

[20] Infra, p. 276.

[21] Ibid.

[22] H. Marcuse, Counterrevolution and Revolt, op. cit., p. 69.

[23] Ibid.

[24] H. Marcuse, La dimensione estetica, in Id., La dimensione estetica. Un’educazione politica tra rivolta e trascendenza, tr. it. Guerini & Associati, Milano 2022, p. 22.

[25] H. Marcuse, Ecologia e critica della società moderna, op. cit., p. 175.

[26] Ibid.

[27] H. Marcuse, Counterrevolution and Revolt, op. cit., pp. 70-71 e p. 34.

[28] L. Pellizzoni, Cavalcare l’ingovernabile. Natura, neoliberalismo e nuovi materialismi, Orthotes, Napoli 2023, p. 188.

[29] Infra, p. 277.

[30] H. Marcuse, Counterrevolution and Revolt, op. cit., p. 132.

[31] Il documento UBA Ffm, Na 3, 301, Herbert Marcuse Archiv, Universitätsbibliothek J.C. Senckenburg, Goethe Universität, Frankfurt am Mein, conserva i telegrammi di invito al simposio parigino e due copie dell’intervento di Marcuse, l’una correzione dell’altra. È probabile che ne siano seguite altre, visto che in entrambe manca il riferimento a Bosquet, che pare, invece, essere stato pronunciato in pubblico e compare fin dalla prima pubblicazione su Ecologie et révolution: débat public de H.Marcuse, S. Mansholt, E. Maire, E. Morin, E. Goldsmith, P. Saint Marc et M. Boquet, in «Le Neuvel Observateur», 397, 19 giugno 1972. La prima traduzione inglese dell’intervento è stata Ecology and Revolution: A Symposium (with articles by Sicco Mansholt, Edgar Morin, Michel Bosquet, Herbert Marcuse), in «Liberation Magazine», September 1972; la prima in spagnolo, H. Marcuse, y otros, Ecología y revolución, esp. trad. por R. Puszkin, Buenos Aires, Nueva Vision, 1975. L’intervento marcusiano e la replica di Sicco Mansholt sono stati ripubblicati negli USA in H. Marcuse, 1970s Interventions. Ecology and Revolution, op. cit., 173-176. Il solo intervento di Marcuse è stato ripubblicato in H. Marcuse, Ecology and Revolution, in Id., Ecology and the Critique of Society Today, ed. by S. Surak, P-E. Jansen, and C. Reitz, International Herbert Marcuse Society, Santa Barbara 2019, pp. 1-5, in occasione della 8th Biennal Conference of International Herbert Marcuse Society tenutasi nell’ottobre 2019 presso l’Università della California di Santa Barbara. In corsivo le sottolineature sui dattiloscritti conservati in UBA Ffm, Na 3, 301, op. cit. In corsivo sottolineato le aggiunte più significative della pubblicazione rispetto ad essi. In nota le cancellature e le modifiche più importanti.

[32] Sostituisce: mi pare che si senta innanzitutto il bisogno vitale.

[33] Sostituisce: c’è piuttosto una spontaneità che tenta di darsi un’organizzazione – un’organizzazione sul momento e per il momento, locale e con le forze locali.

[34] Si tratta di un’aggiunta a penna sin dal primo dattiloscritto [N.d.T.].

[35] Cancellato: essa sintetizza (totalise) tutte le forze distruttive di un capitalismo moribondo.

[36] Cancellato: coltivata o ancora da coltivare.

[37] L’uso di defoglianti chimici in Vietnam come tecnica ecocida dell’esercito statunitense per finalità volutamente genocide, era già stato denunciato da N. Chomski, I nuovi mandarini. Gli intellettuali e il potere in America (1969), tr. it. a cura di L. Baranelli, F. Ciafaloni, G. Dettori, M.V. Malvano, et al., Einaudi, Torino 1969. Chomski paragonava la guerra ecocida in Vietnam al genocidio degli Indiani d’America mediante lo sterminio dei bisonti [N.d.T.].

[38] Cancellato nello scritto pubblicato: gli invasori non vinceranno!

[39] Sostituisce: dalla grande industria della metropoli.

[40] Cancellato già nel secondo dattiloscritto: dall’inizio della storia.

[41] Sostituisce: un mondo di immagine di bonheur.

[42] Sostituisce già nel secondo dattiloscritto: della repressione.

[43] Cancellato: un aspetto della repressione e del dominio sulle persone.

[44] Cancellato: si sente e si sa che è possibile cambiare la qualità stessa della vita.

[45] Cancellato già nel secondo dattiloscritto: non è affatto finita, sconfitta.

[46] Cancellato già nel secondo dattiloscritto: e di tutti i principi.

[47] Cancellato: Questa rivolta incontra la natura come un alleato potentissimo: – la natura che non è stata ancora violata, la natura che resta del tutto al di fuori dell’aggressione commerciale e industriale, diventa lo spazio di un’esperienza sovversiva.

[48] Nel senso hegeliano dell’Aufhebung [N.d.T.].

[49] La parte che segue fino alla fine del capoverso successivo è un’aggiunta del secondo dattiloscritto. Manca nell’ultima pubblicazione di Ecology and Revolution in H. Marcuse, Ecology and the Critique of Society today, op. cit. [N.d.T.].

[50] Cancellato: all’estetica.

[51] Cancellato: e domani.

[52] Cancellato già sul secondo dattiloscritto: sembra che, nel paese capitalistico più avanzato, gli uomini non conoscano più la bella terra, la natura non-violata.

[53] Cancellato: Conclusione.

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